Monday 19 October 2009

IL SANTUARIO DEGLI UCCELLI VICINO AGRA




Ho dedicato la mia giornata alla visita del Keoladeo Ghana national park, un santuario degli uccelli, dove sono presenti più di 300 specie. Purtroppo quest’anno, siccome ha piovuto poco durante la stagione dei monsoni, gli specchi d’acqua presenti sul territorio sono pochi e di conseguenza anche il numero degli uccelli. Per avere maggiori specchi d’acqua sono costretti a pompare acqua. L’anno scorso c’era tanta acqua e si poteva fare il giro in barca. Ora il porticciolo delle barche è vuoto. Una lunga strada dall’ingresso porta verso l’interno del parco. L’inizio del parco sembra quasi una savana, un folto tappeto erboso con pochi alberi isolati, alcuni dei quali secchi dove gli uccelli si posano. Vedo molti uccelli che non conosco. Rimango affascinato dai loro colori e dal loro portamento. Un famiglia di aquile vive poco distante dalla strada, dei pappagalli verdi aprono le ali pronti per spiccare il volo. Lo specchio d’acqua è ricoperto da una vegetazione verde. Una tartaruga enorme si crogiola al sole. Si muove lentamente quando mi vede e si dirige per cautela verso lo specchio d’acqua. Vedi un serpente d’acqua che si volteggia nell’acqua alla ricerca di cibo e poi aironi e tanti altri. Molte antilopi si aggirano tra gli alberi e pascolano insieme alle numerose mucche. Nei campi di erba 6 ragazze indiane che si notano per i loro colori così vivaci tagliano l’erba e formano grossi cumuli. Li portano sui loro capi. Sono molto pesanti, ma camminano con una certa disinvoltura. Una piacevole giornata nella natura. Osservare gli uccelli e il loro comportamento è stato veramente piacevole.

Thursday 15 October 2009

IL DALAI LAMA NEL SUO PRIMO GIORNO DI INSEGNAMENTO





Tutta McLeod Ganj aspettava questo giorno. Tanti stranieri sono arrivati in città per la settimana di insegnamento del Dalai Lama. E’ difficile in questi giorni trovare un posto per dormire. Questa mattina alle 8 le strade erano già piene di gente che si dirigeva al tempio. La fila era lunga, ma la gente aspettava pazientemente. I controlli si sicurezza alla porta allungavano i tempi di attesa. Per fortuna grazie al mio press pass sono passato davanti. La gente era tutta raccolta ai piedi del tempio e sul piano superiore. Aspettava intrepida l’arrivo del Dalai Lama. E finalmente dopo oltre un’ora di attesa alle 9.25 arriva con la sua scorta e la gente lo acclama e si inginocchia. Armati di radioline gli stranieri sintonizzandosi su alcune frequenze potevano ascoltare la traduzione delle parole di sua eccellenza. C’era gente da tutto il monto, gruppi da Taiwan, Singapore, Romania, solo per citarne alcuni. L’atmosfera molto raccolta e di estrema attenzione.

Wednesday 14 October 2009

UN SALTO AL TCV DI LOWER DHARMSALA



Dopo l’ospedale faccio un salto al TCV di Lower Dharmsala. Stessa procedura. Prima tappa in ufficio del direttore per il permesso alla visita e poi, libero, comincio a guardarmi intorno. Nella scuola ci sono 730 studenti.
La prima tappa Ë la baby room. Circa 10 bambini di 2-4 anni giocano con la loro badante, si divertono a rivedere le foto che gli faccio dallo schermo della fotocamera. E anch’io sembro un bambino con loro. Un altro dorme nel lettino. Non me n’ero accorto e prima di andare via uno dei bambini mi dice di andare a fare le foto a lui. Non capivo cosa mi stesse dicendo, ma la badante poi mi ha spiegato. Tutti ridevano ed erano contenti. I sorrisi dei bambini ti regalano sempre dei momenti di gioia e di serenit‡.
Entro nell’art room e osservo appesi al muro alcuni quadri fatti dagli studenti. Alcuni ritraggono dei motivi riferiti alla libert‡ e comunque al tema dell’oppressione cinese, poi mi dirigo verso la stanza dove fanno il pane. Il panettiere mi racconta che ogni giorno si alza alle 3 di mattina e impiega circa 10 ore per fare il pane che viene usato per la colazione del giorno dopo. E’ sistemato su delle mensole e insieme sembra che formino delle celle. Ha la forma del pane in cassetta. Vedo delle signore tagliare vegetali di fronte la cucina. Lo chef che nel frattempo mi nota, mi invita nella sua cucina, mi fa vedere il magazzino e come preparano la paste per fare il pane della cena. E poi, con mia sorpresa, mi invita ad assaggiare quello che ha preparato per il pranzo. Riso bianco, una salsa a base di lenticchie della cucina indiana e poi un'altra pietanza a base di peperoncino, piccantissima. Tutto Ë squisito. Semplice ma molto saporito.
Un ragazzo che parla inglese mi fa compagnia. Scopro che Ë di Taiwan, Ë al TCv da solo 7 mesi. E’ venuto per imparare il tibetano perchÈ nel suo paese Ë una lingua che va molto in voga. Mi dice che a volte viene discriminato perchÈ considerato un cinese. Mi dice che volte gli verrebbe di ammazzare qualcuno, ma non puÚ perchÈ non sta nel suo Paese.

VISITA DEL TIBETAN DELEK HOSPITAL



Il Tibetan Delk Hospital si trova a meta strada tra Dharmasala e Mcleod Ganj vicino al segretariato del governo tibetano in esilio. E’ un ospedale tibetano. la maggior parte dei pazienti ricoverati sono tibetani,, ma la struttura Ë aperta tutti, indiani e stranieri. E’ una struttura abbastanza fatiscente e fu costruito grazie a dei finanziamenti del ministero degli Esteri italiano. La struttura si sviluppa in due palazzine situate una di fronte all’altra. Si effettuano varie analisi cliniche, quali raggi x, sigmoidoscopia, gastroscopia, electrocardiogramma, analisi chimiche computerizzate, ultrasuoni e il test HIV. Nell’ospedale Ë presente un ampio reparto per la cura della tubercolosi, con 25 letti disponibili, che fa parte di un ampio progetto su questa malattia esteso a tutta la comunit‡ presente in India. Questo progetto consiste nel monitoraggio della malattia sul territorio, nelle forme di prevenzione con una opportuni mezzi di informazione e di propaganda e nella cura di essa nelle varie strutture ospedialiere. Questo progetto viene finanziato da un’associazione italiana, l’AISPO, Italian Association for Solidarity Among People.
Nell’ospedale si effettuano cure pediatriche, dentali, di immunizazione, contro l’ipertensione e le malattie oculari. Sono presenti 7 dottori, di cui sei generali e uno specializzato in tubercolosi e malattie polmonari, che Ë anche il dottore personale del Dalai Lama.
Visito in particolare il reparto tubercolosi, munito di mascherina, la quale mi fa respirare a fatica. Si trova al primo piano, e da sotto si vedono alcuni malati con la mascherina affacciati al balcone. Salgo su e mi trovo su un balcone con delle barrelle-letto sui quali alcuni pazienti sono seduti. Li saluto. Ci sono sia ragazzi giovani, che adulti, che persone anziane. Prendono le medicine ogni giorno per la cura della malattia. Un ragazzo mi dice che non sa ancora quanto tempo debba rimanere. E’ l‡ gi‡ da due settimane. Quando il test risulter‡ negativo, allora potr‡ andare via. Entro a vedere le camere. Una signora prega, una ragazza legge un libro, un signore anziano Ë steso sul letto, si vede che sta molto male, fa fatica a respirare, mi guarda con i suoi occhi spenti, vorrebbe alzarsi o dirmi qualcosa ma riesce a fare niente di tutto questo.
Una bandiera tibetana inneggia sul balcone, fiera di svolazzare con i suoi colori.

Sunday 11 October 2009

TREKKING VERSO LA CASCATA



Inizio la giornata con una buona colazione, the e apple strudel. Pronto per il trekking del giorno verso una cascata. Il percorso all’inizio Ë difficile, tanti scalini per salire. Una ragazza australiana e un ragazzo norvegese mi accompagnano. Nella prima parte sei cani ci seguono e ci fanno compagnia. Poi cerchiamo di allontanarli perchÈ ci intralciano il cammino. Dopo piu' di due ore arriviamo a destinazione e ci riposiamo un po’ bevendo un the caldo e consumando dei dolci tibetani, che avevamo comprato il giorno prima, in un cafË sistemato in una baracca di un indiano che vende anche omelette, biscotti, bibite e snacks. Poi decidiamo di risalire il corso del torrente per vedere meglio la cascata. Ci si arrampica sulle rocce e sui sassi isolati circondati dall’acqua che scende giu'_ a valle. In certi punti Ë difficile passare. Io decido di passare dall’alto, mentre gli altri continuano lungo il torrente. Arrivo nel punto in cui l’acqua scende e forma la cascata. La vista e' spettacolare e l’acqua Ë cosi' limpida, di un verde cristallino, si insinua tra le rocce, niente la ferma, lei continua a scendere impetuosa. Mi sdraio su una roccia, che forma una comoda sedia, un po’ dura, ma abbastanza confortevole. Ascolto i rumori della natura, gli uccelli che cantano, l’acqua che sbatte sulla roccia, il vento che soffia. Vedo le creature della natura, farfalle che mi svolazzano sopra la testa, rapaci che volano alti nel cielo, capre e pecore che scendono dal crinale insieme ai pastori. Mi sento cosÏ in pace in mezzo a tutto questo. Una giornata in mezzo alla natura ti ritempra e ti fa volare con i pensieri.

Saturday 10 October 2009

2 GIORNI INDIMENTICABILI TRASCORSI A CHAUNTRA




Arrivo con il taxi nell’atrio principale della scuola. Mr Gyalpo mi viene incontro e mi dà il benvenuto mettendomi al collo un foulard bianco. Mi accompagna nella stanza dove alloggerò e ci incamminiamo insieme per visitare la scuola. I primi bambini che incontro, vevendo il mio foulard, mi acclamano a gran voce. Rispetto ai TCV si vede che la struttura della scuola è in peggiori condizioni. La scuola, che dipende completamente dai fondi stranieri, riceve meno soldi. Le uniformi degli studenti sono più scadenti, ma noto che il sistema di educazione è fondamentalmente lo stesso. Non so ora la qualità. Nella scuola ci sono circa 370 studenti e oltre 40 persone di staff, tutti tibetani, a parte due professori e una donna tuttofare di nazionalità indiana. Ma solo l’aspetto esteriore sembra diverso, perché i bambini sono sempre calorosi e con lo stesso spirito. I ragazzi fanno pratica alla tastiera del computer, altri hanno la lezione di inglese, un monaco, nella sua classica toga, insegna buddismo, i bambini più piccoli imparano l’alfabeto. La scuola è nel pieno dell’attività. Una ragazzina mi chiede il mio nome e sembra divertita da come mi chiamo, e poi mi chiede anche il cognome, sembra che voglia sapere più cose di me, è curiosa, ma si ferma qua, guarda la sua amichetta e si mettono a ridere. Dopo pranzo mi trovo nel piccolo parco giochi dove i bambini si muovono come le formiche, presi dal divertimento. Un bambino si getta a pancia in giù dallo scivolo e altri lo seguono dietro. Sono impazziti. Cadono uno sopra l’altro sulla sabbia ai piedi dello scivolo e non si preoccupano della sabbia che sporca le loro uniformi. Si divertono da matti.
E’ presente un’autorità del governo danese che è uno dei sostenitori della scuola e, per l’occasione, la scuola ha organizzato uno spettacolo di danza, musica e canto. Il momento in cui ho sentito un brivido attraversare il mio corpo, 3 bambine tibetane intonavano insieme una canzone tradizionale e si volteggiavano nei loro vestiti tipici.
Ma l’incontro più importante è stato quello con il ragazzo adottato a distanza dal mio amico Bruno. Un ragazzo di 14 anni, con gli occhiali, timido che cerca di gurdarmi negli occhi, ma gli è difficile. Un ragazzo educatissimo ed istruito. A lui piace suonare la chitarra tibetana e vorrebbe studiare scienze, una volta terminata la decima classe. I suoi gemitori vivono lontani da lui. Si sentono al telefono ogni tanto e si vedono durante le vacanze di gennaio e febbraio. Suo padre lavora in una fattoria e ogni tanto va a dare una mano in un monastero della zona. A lui piace la scuola e si trova molto bene qua. Andiamo a fare un giro insieme dopo le lezioni. Mi porta a vedere un monastero là vicino e una piacevole aria fresca al tramonto porta con sé una atmosfera magica. E’ tutto così tranquillo qui intorno, così assolutamente spirituale. A cena andiamo in un ristorante tibetano e là incontro un ragazzo australiano che sta studiando buddismo al monastero. Per completare gli studi sono necessari 10 anni. E’ il solo straniero là in mezzo a tanti monaci. Lui parla tibetano e vive con una famiglia tibetana nel settlement là vicino. I primi mesi sono stati molto duri per lui, ma ora si è abituato a quello stile di vita. Lo ammiro per la sua decisione.
L’indomani mi alzo alle 5 per assistere nel vicino monastero alla preghiera mattutina dei 500 monaci che vivono là. Fuori è ancora è buio, il monastero è illuminato da luci gialle e da neon e i monaci si siedono nella loro posizione classica. Il suono della voce che prega crea un’atmosfera sublime e per circa 20 minuti va avanti. Intanto si comincia ad intravedere la luce del sole che si alza. In matinata visito anche il TCV, Tibetan Childrane Villane, l’ultimo costruito per volere del Dalai Lama nel 2004 e che ospita quasi mille studenti e circa cento persone formano lo staff interno. E’ presente anche un centro dove vengono accolti gli studenti meno capaci o con problemi di apprendimento. Attualmente sono presenti 23 studenti. Salendo incontro una ragazza con problemi mentali che mi fissa, ma non mi dice niente. Sono presenti tre corsi, il beginner, per i più piccoli o per quelli appena arrivati, il vocational, dove viene insegnato il mestiere del falegname o quello del sarto, e l’accademic, dove viene insegnato il regolare corso di studi, dal quale i ragazzi con buon profitto possono ritornare alla normale scuola del TCV.
La struttura è nuova e si vede che girano più soldi rispetto al CST. Molti bambini durante il break della mattina vanno a comprare le patatine, i noodles, il gelato. Molti non si curano di gettare nel cestino le confezioni di plastica, lasciandole sui tavoli o per terra. Non lo so, ma per la prima volta non ho avuto una piacevole sensazione e dopo un po’ di tempo ho lasciato la scuola per dirigermi verso il centro anziani per tibetani. Mi giro intorno e comincio ad incontrare i primi anziani. Mi salutano con affetto nel loro modo. Anch’io ricambio. Mi sento così preso da questa situazione. Regna il silenzio e la pace in questo posto. Salgo le scale e incontro una signora con la sua scodella piena di cibo. Un altro signore porta da mangiare a sua moglie che è costretta a stare a letto. Mi sorride, si sistema per farsi fotografare e io le sono molto grato. Scendo giù nella sala pranzo e una decina di anziani pranzano insieme, senza parlare, in silenzio, qualcuno prega mentre mangia. Piano piano, uno alla volta lasciano la stanza, pronti per andare a riposarsi nelle loro camere.
Il settlement che ospita varie famiglie tibetane è poco distante. Si respira anche qua un’aria di tranquillità. Passeggiando per il quartiere noto una signora anziana seduta su un lettino di fronte casa. La saluto. Intanto esce la nipote e la figlia. Mi chiedono di accomodarmi e mi offrono un the e dei biscotti. Sono così cordiali con me. C’è anche un monaco amico di famiglia, che studia filosofia buddista al monastero.
Sono state delle giornate intense e piene di emozioni.

Wednesday 7 October 2009

VISITA DEL RECEPTION CENTRE DI MCLEOD GANJ



Oggi decido di visitare il reception centre per rifugiati appena arrivati in India. Devo andare prima al dipartimento dell’informazione e dei rapporti internazionali per chiedere ottenere il relativo permesso. Intanto aspetto per tutte le pratiche prendo informazioni da pubblicazioni disponibili gratuitamente.
Arrivo, quindi, al centro e solo un rifugiato, purtroppo è presente al momento della mia visita. Gli altri sono fuori. Una ventina di Tibetani sono presenti, al momento, nel reception centre. Comincia la mia intervista. Ci presentiamo per rompere il ghiaccio. Naturalmente, lui non parla inglese e per questo una dipendente dell’ufficio mi fa da interprete.
Suo fratello è stato in India per 3 anni, diventando un monaco. Dopo questo periodo decide di tornare in Tibet dove partecipa alla vita di un monastero. Ma allo stesso tempo decidere di partecipare ad un gruppo politico di azione a favore di un Tibet libero, ponendo poster “Tibet free” e facendo propaganda contro il governo cinese. Egli fu catturato dalla polizia e condannato a nove anni di detenzione. Quando fu rilasciato le sue gambe erano completamente fratturate, in seguito a pesanti torture. Egli morì in seguito a questa condizione. Dopo la morte del fratello si trasferì a Lhasa e dopo aver visitato il padre decide con la moglie di fuggire dal Tibet. Lui, con la moglie e altri 2 amici attraversarono le montagne e dopo 27 giorni di cammino arrivarono in Nepal, dove trascorsero 12 giorni nel transit centre. In totale erano circa 30 rifugiati nel centro. Ora è molto più difficile attraversare il confine. Dopo marzo dell’anno scorso, in cui ci furono vari disordini contro i giochi olimpici, i controlli alla frontiera sono molto più stretti. Dice che in Tibet la situazione è brutta. E’ molto difficile trovare un lavoro e gli stipendi solitamente sono più bassi di quelli cinesi. 30 yen al mese sono veramente pochi per vivere. Ora si sente rilassato e dice che vorrebbe aprire una sua attività, perché è difficile trovare lavoro in India, anche da autista.
Prima di marzo dell’anno scorso arrivavano al centro circa 2000 rifugiati, ora ne arrivano la metà.

Tuesday 6 October 2009

VISITA DEL TCV DI MCLEOD GANJ




Giornata dedicata alla visita del TCV, Tibetan Children Village di McLeod Ganj. Il secondo della serie, è il primo TCV costruito in India dall’inizio dell’esilio, nel 1960. Ospita circa 2000 studenti, dei quali il 70% proviene direttamente dal Tibet, la rimanente parte da famiglie tibetane che risiedono in India, ma che non hanno sufficiente denaro per mandare i figli a scuola. Gli student,i che hanno un’età compresa tra i 3 e i 16 anni, vivono distribuiti in 42 homes, ognuna dei quali ne ospita 30-35, due ostelli per ragazze, nei quali trovano sistemazione le studentesse della decima classe, e due ostelli per ragazzi, quelli della nona e decima classe. Fino all’età di 5 anni i bambini vivono nella baby room.
Trecento persone compongono lo staff interno, tra personale d’ufficio, insegnanti, home mothers e manutentori.
Gli studenti si svegliano alle 5.30 ed entro le 7.00 devono essere pronti per il momento della preghiera che dura fino alle 8.30. Poi ha sede un’assemblea per circa 30 minuti e alle 9, finalmente, le lezioni cominciano e terminano alle 16.00.
Dall’alto noto un camioncino che si trova all’angolo del campo di calcio. Una decina di studenti stanno scaricando dei sacchi di calce, sembrano pesanti per loro, si aiutano a vicenda, ma il loro sforzo si nota sui loro visi. I loro pantaloni blu sono ormai diventati bianchi, sembrano quasi degli imbianchini in quello stato. Prima di ritornare alle loro classi, si lavano alla fontana là vicino, con le mani bagnate si strofinano i pantaloni cercando di pulirli il meglio possibile.
Ho gironzolato per la scuola per oltre 4 ore, incuriosito dalle attività degli studenti. Dei ragazzi provano, nel campo principale, il salto in lungo, con una curiosa rincorsa, gli altri ragazzi che assistevano erano armati di piccone per spianare il terreno dopo il salto. Sembrava che stessero zappando il terreno per una semina. E poi lezioni di educazioni fisica si sono avvicendate per tutta la mattina. Vari sport, in varie sezioni del campo, venivano praticati, il calcio, la pallavolo, il cricket, lezioni di movimento a corpo libero, ping pong. Vado in giro per le classi, fotografo alcune classi vuote, solo gli zaini lasciati sulle sedie davano una sensazione di presenza umana. I banchi di legno molto vecchi, penso risalenti all’apertura della scuola, si aprono e sotto si trovano i quaderni degli studenti. Su una bacheca noto dei compiti di matematica sul cubo, dove gli studenti hanno affisso la propria esercitazione. Scendo nell’atrio abbastanza buio, dove sole dei finestroni davano un po’ di luce all’ambiente, vedo una lavagna e sopra c’è scitto:”At the time of my death, if a majority of the people feels that the Dalai Lama is no longer relavant, then this institution will automatically cease-HH the Dalai Lama”. Un ragazzo che si affaccia dalla porta di una classe mi invita ad entrare e io naturalmente accetto, i compagni cominciano a scherzare sulla mia presenza lì, un estraneo molto diverso da loro, si divertono quando scatto delle foto e quando vado via mi salutano in coro.
Una ragazzina della sesta classe si trova accanto alla porta d’ingresso della sua classe. Sembra triste, forse è là in castigo per qualcosa che ha fatto, la sua figura dal basso delle scale contrastava con il luminoso finestrone , guardava fuori degli altri suoi compagni e non si cura della mia presenza, ad un tratto però mi sente e si gira verso di me con i suoi occhi grandi e non dice niente, la saluto, ma non mi risponde.
E’ arrivato il momento del pranzo. All’1.00 i ragazzi si dirigono verso le loro home o gli ostelli dove vivono. Ne seguo un paio e arrivo nella loro home, salgo le scale e i ragazzi che aspettavano il pranzo mi guardano con un’aria strana. Arriva una ragazza che porta i piatti di metallo, un’altra porta un pentolone pieno di riso bianco e poi arriva un altro pentolone pieno di una salsa giallastra, forse curry. Iniziano tutti insieme a dire qualcosa, presumo che dicano delle preghiere, inizia così la distribuzione del cibo, tutti sono contenti. La home mother dà loro ciascuno una mela.
Il pranzo viene preparato la mattina dalla “madre” e da 2 studenti, in modo tale che essi imparano a cucinare e a essere indipendenti una volta che finiscono la scuola.
Vado ancora in giro e vedo ragazzi che lavano per terra nelle loro case, altri che lavano i piatti e le padelle, altri che si lavano i capelli sotto una fontanella, altri che tagliano delle verdure. Tutti sono indaffarati a fare qualcosa.
Salgo delle scale e mi trovo in una prima classe. Dentro ci sono 4 ragazzini di 6 anni, li saluto e loro mi salutano, mi fanno vedere i loro colori, un altro cancella la lavagna, sono così simaptici. Uno ha un cappello giallo e rosso e gli mancano due denti davanti, saltella con gli altri e si divertono davanti la mia macchina fotografica. Una bambina è così tenera, con i suoi capelli a baschetto, scherza e si prendere a bacchettate sul sedere. Quanto sono innocenti.

Monday 5 October 2009

VISITA AL GYUTO RAMOCHE TEMPLE




Ieri ho incontrato un monaco e parlandogli di quello che sto facendo in India mi ha proposto di andare insieme a visitare un monastero qua vicino. Alle 10 ci incontriamo e prendiamo 2 autobus per arrivare l‡. Appena arriviamo si intravedo gi‡ i primi monaci, ai lati le palazzine nuove dove vivono e in fondo il monastero di recente costruzione, regalo del Giappone al Dalai Lama, mi dice il monaco che mi accompagna. Entriamo a vedere il tempio e alle 11.30 un monaco suona il gong per richiamare tutti i monaci a pranzo. Si riuniscono tutti in una mensa dove viene servito della zuppa, riso e vegetali. Ognuno prende quello e quanto gli pare. Siedono a gruppi 8-9 persone. Non hanno i bicchieri per l’acqua ma solo una caraffa da dove devono senza perÚ toccare con le labbra il becco. Finito il pranzo, alle 11.50 un altro monaco suona il gong per richiamare i monaci alla preghiera di mezzogiorno. I monaci si preparano vestendo la toga arancione che indica un grado pi_ alto. Sono presenti, penso all’incirca 300 monaci, seduti su delle panche rosse morbide, parallele tra di loro e poste perpendicolarmente all’ingresso. Pregano per oltre 45 minuti con vari riti. I monaci pi_ giovani siedono nelle due panche pi_ lontane. Ad un certo punto entra nel tempio un monaco che si toglie le scarpe e si stende pi_ volte su un tappeto per compiere il rito della preghiera e, una volta finito, prende un mazzo di soldi e comincia a distribuirli tra i vari monaci. Riesco a sbirciare notando, ma non sono sicuro 150 rupie a testa. Il monaco che mi accompagna mi dice che quelli sono soldi provenienti dagli sponsor. L’atmosfera era molto spirituale anche se pi_ volte vari monaci sbadigliano e sembrano annoiati.
Dopo il monastero mentre aspettavamo l’autobus entriamo in piccolo negozio dove offrivano del chai e del riso tipico tibetano preparato con della frutta secca. Avevano messo all’ingresso un foulard bianco in segno di apertura dello shop, cioË che quel giorno il cibo offerto era gratis. Ritornando al paese ci fermiamo alla libreria tibetana e alla sede del parlamento tibetano che si riunisce due volte l’anno. Che strana sensazione vedere quella stanza e pensare che il governo del Tibet si riunisce in India e non in Tibet per discutere i problemi del Paese.
Affaticati dalla lunga camminata in salita ci sediamo ad un coffee shop e davanti ad una tazza di the cominciamo a parlare un po’ di noi. Il monaco vive in una stanza senza bagno e cucina, fatta di lamiera. Paga 500 rupie al mese, vale a dire non pi_ di 8 euro. Purtroppo non si puÚ permetter di pi_. L’unica sua fonte di guadagno Ë nel fare la guida ai turisti. Mi dice che ha un problema al fegato, ma purtoppo non si puÚ permettere le cure adeguate. Per lui andare a Delhi in un buon ospedale significherebbe spendere troppo soldi che non ha. Gli dico di quanto noi occidentali ci lamentiamo di cose stupide, non capendo quali sono i veri problemi. Mi dilungherei troppo ora su questo argomento. Ha vissuto per 10 anni in un monastero al Sud, dove aveva cibo e alloggio gratis. Ma lui preferisce essere libero, anche nelle condizioni in cui ritrova. Fredoom mi continuava a ripetere. La giornata Ë stata molto piacevole e diversa dal solito. E stato interessante confrontarsi con lui. Domani mi aspetta la visita del Tibetan Children Villane. Un saluto a tutti.

Sunday 4 October 2009

PRIMO GIORNO A DHARAMSALA




Primo giorno trascorso a Dharamsala, famoso per essere la sede del famoso Dalai Lama e del governo tibetano. Tanti turisti girano per le strade. Sembra di essere in Tibet, tanti monaci girano per le strade, frequantano i caffe', i negozi, insomma la vita normale di tutti i giorni, tanti poster per il Tibet libero, bancarelle di oggetti provenienti dal Tibet. Visito il museo dove e' raccontata in breve, attraverso bacheche scritte e fotografia la storia tibetana, in particolarea partire dall'invasione cinese. Una vasta area e' dedicata ai soprusi che i Tibetani devono subire da parte del governo cinese. Visito anche il complesso monastico principale della citta', che pero' non mi entusiasma eccessivamente. Per strada incontro un monaco e parlando del mio reportage msi propone di accompagnarmi domani a vedere dei monasteri intorno e ne sono molto contento. Andro' a vedere un monastero dove sono presenti 5oo monaci. Facendo un giro un po' fuori dal centro vicino al bosco, noto anche delle scimmie che si arrampicano, inseguite dai cani randagi la' intorno. E' una scena divertente che mi lascia un sorriso stampato.

SULLA VIA PER DHARMSALA CON IL MIO PORTAFORTUNA



Dopo 5 giorni con Hanna, Denny ed Andy è ora di ripartire di nuovo da solo. Forse ci rivedremo tra una decina di giorni per vedere il Dalai Lama insieme. MI aspettano 10 ore di autobus per raggiungere Dharmsala, là dove risiede il governo tibetano in esilio. Lascio manali dove mi sono rilassato e divertito con i miei compagni di viaggio, pianificato il da farsi per i prossimi giorni e lavorato alle foto scattate nei giorni scorsi.
Prima di partire avevo in mano il mio portafortuna, di cui non vi ho mai parlato, un braccialetto di plastica di colore arancione con delle venature più chiare, il dorso arrotondato. Appartiene ad una persona molto importante e ogni volta che lo prendo tra le mie mani, lo sfioro, lo faccio girare, delle sensazioni intense mi coinvolgono, ma allo stesso tempo mi danno molta malinconia. Ascolto ora “Let’s come together”, seduto in fondo , con una sola luce giallastra che illumina il corridoio, un’atmosfera così cupa e sonnolenta, torno indietro negli anni, la ascoltavamo insieme ad alto volume e ci emozionavamo, come ora mi sto emozionando, ripercorrendo con i pensieri una scala in discesa.
Eccomi A Dharmsala alle 6 del mattino, il sole si è appena alzato e le strade cominciano a brulicare di gente. Inizia un altro capitolo. Buona giornata a tutti.

Thursday 1 October 2009

3 GIORNI IN GIRO TRA LE MONTAGNE DELL'HIMALAYA




Appena tornato dal mio tour di 3 giorni in giro tra le montagne dell'Himalaya. Piu' di 500 km per la maggior parte su strade sterrate. Ne ho mangiata tanta di polvere. Ma i paesaggi montani che ho visto hanno ricompensato tutta la fatica del viaggio. Prima tappa e' stato il lago Moriri a 4600 m s.l.m. Mamma che freddo che faceva. Ho dormito insime ai mie compagni di viaggio in una guesthouse fantastica, senza acqua corrente, ci si e' dovuti accontentare dell'acqua a secchi. Nella stanza il tappeto era impregnato di polvere e il resto ve lo lascio alla vostra immaginazione. Il lago blu con le montagne intorno innevato che si rispecchiavano sul pelo dell'acqua. Accanto c'era un enorme pascolo dove greggi di pecore, cavalli, yak, asini pascolavano indisturbati al calare del sole, il quale riscaldava questa fredda terra. L'atmosfera era fantastica. Le persone del villaggio estremamente povere. Abbiamo mangiato in un ristorante sotto una tenda, senza pavimento. Una ragazza cucinava davanti a noi e poi lavava i piatti per terra con acqua riscaldata in padella. E tutto sembrava irreale, ma vero. Davanti ad un piatto caldo di noodles e a una tazza di the e ad una chiacchierata, il freddo non si sentiva piu'. Altri due giorni di viaggio mi hanno portato a Manali.

Monday 28 September 2009

VISITA AL THIKSEY GOMPA




Oggi mi dedico alla visita del monastero di Thiksey. Prendo l’autobus alle 10.00. Sono il solo turista in mezzo a indiani e tibetani. Scorre anche una musica indiana ad alto volume che rende il viaggio più piacevole. L’autobus si ferma spesso al fischio delle persone che vogliono scendere o all’alzata di mano di quelle che vogliono salire a bordo. Immaginate quante volte si ferma. Ma la situazione è simpatica e mi sento molto a mio agio, nonostante a volte i ragazzi mi guardano come se fossi chissà chi. Ma non fa niente. Arrivo ai piedi del monastero dopo 45 minuti. E’ praticamente un villaggio all’interno del monastero. Si sviluppa tutto su una collina, ai suoi piedi tante case prettamente di colore bianco o marrone dove vivono i monaci. Sulla sommità, domina il monastero. Ci sono due sale principali. In una è presente una statua del Buddha alta 14 metri, con un copricapo incastonato di numerosi gioielli, nella seconda c’è un’atmosfera molto più spirituale e la luce è molto scarsa. Dei raggi di sole penetrano nella sala dalle finestre presenti sul tetto e illuminano dei stendarsi dai colori vivaci. Regna il silenzio.Tra le stradine del villaggio noto tanti piccoli monaci, alcuni bevono da una di scodella una sorta di zuppa, altri giocano, altri camminano sulle ripide scalinate. Stavo sul tetto di un’edificio e all’improvviso un monaco bambino corre verso di me e và a suonare una sorta di piatto, battendolo con un’asta di metallo. Forse è l’ora del pranzo.

Saturday 26 September 2009

IL LAGO PONSGONG







Sveglia alle 4.30. Oggi dedico la mia giornata alla visita del lago Pangong. 5 ore di jeep per poter arrivare in questo posto splendido. Il panorama lungo il tragitto è stupendo. Sembra di stare in un deserto in montagna. Nessun albero, nessun arbusto, solo piccole piante erbaceee che crescono a ciuffo, e poi tanta roccia, dai colori diversissimi, gli stradi sedimentari che risaltano, a volta sembra prendere delle forme e delle inclinazioni strane. Per poter arrivare al lago bisogna avere un permesso speciale in quanto si trova in una zona ad accesso limitato. Lungo il tragitto incontro tante caserme militari, posti di controllo, sembra quasi di stare all’interno di una caserma per quanti militari girano da queste parti. Ad un certo punto incontro a lato della strada due tende di nomadi, un branco di yak, le mucche himalayane, e due signore che le mungevano in uno scenario da non credere. Proseguendo noto una marmotta in mezzo alla vallata accanto ad un piccolo laghetto dove una mucca si sta abbeverando. La marmotta rimane lì ferma, nonostante mi avvicino a lei. Sembra fidarsi e non scappa, addirirrura si lascia toccare. Non credo ai miei occhi. E poi ancora incontro delle pecore himalayane che salivano sul versante roccioso e poi anche una volpe. Insomma, mi trovo davanti ad un vero spettacolo della natura. A metà tragitto si attraverso il terzo passo più alto al monto a altre 5300 s.l.m. L’aria è molto rarefatta, faccio fatica a respirare, ma l’idea di stare a quell’altezza mi eccita. Anche qua c’è un presidio militare che offre assistenza sanitaria gratuita, servizi sanitari e anche the caldo gratis. Il the si trova in un contenitore termico, i bicchieri sono di metallo e una volta usati vanno lavati con dell’acqua e messi così a disposizione degli altri che vengono dopo.
Finalmente dopo più di 100 km percorsi in stradine di montagna, mi trovo davanti al paradiso terrestre, un lago il cui colora vira dal celeste chiaro al blu intenso, circondato da montagne di colore diverso. Anche qua non manca una base militare.
Una giornata lunga, ma piena di emozioni. Anche oggi il mal d’altitudine ha colpito.

Thursday 24 September 2009

VISITA AL TCV DI LEH




Alle 9 mi vengono a prendere con una jeep dalla guest house dove alloggio. Arriviamo al TCV, Tibetan Children Village, e mi accompagnano nell’ufficio del direttore. Mi accomodo al fianco della sua scrivania e comincio così a spigargli l’intento del mio lavoro di documentazione sulla situazione del popolo tibetano in India e Nepal. Mi spiega come il settlement che si trova annesso al TCV sia di natura principalmente agricolo. Ogni famiglia possiede un pezzo di terra da poter coltivare che è stato concesso dal governo indiano per il loro sostentamento. Ci sono però due problemi di difficile soluzione, l’irrigazione e la fertilità del terreno. L’irrigazione è molto difficile da praticare. E’ presente un canale dal quale attingere l’acqua, ma il livello dell’acqua è molto basso, tanto che la reale disponibilità di acqua è molto bassa. Inoltre i terreni sono poveri, hanno cioè una fertilità bassa, e quindi di conseguenza una produttività misera. Si effettuano solo concimazioni organiche con escrementi animali e umani, per la salvaguardia di un ambiente molto delicato dal punto di vista ambientale. Sui terreni si coltiva principalmente erba che viene utilizzata per l’alimentazione degli animali allevati. Nel TCV ci sono oltre 2000 bambini. Il sistema di educazione usato è diverso dal sistema tradizione tibetano fondato sulla religione buddista. Un sistema moderno basato sull’insegnamento di materie attuali. Come l’inglese, l’informatica, la chimica, le scienze, la comunicazione sociale , Hindi, scienze, lo sport, la danza. Prima del 1959, l’educazione in Tibet era concentrata sulle sacre scritture tibetane e veniva effettuata dai monaci. In Tibet non ci sono grandi scuole come quelle presenti in India. Nei villaggi i bambini vengono venivano portati dai monaci che davano l’educazione: ogni monaco aveva un bambino da educare. Solo per i monaci c’erano grandi università con anche fino a 7000 monaci.
Nel TCV i bambini inizano la scuola all’età di 3 anni. All’età di 6 anni i bambini iniziano la prima classe fino alla decima classe. Al termine di essa tutti i ragazzi devono sostenere l’esame CBSE. Per passare l’esame si deve ottenere un punteggio del 40% per poter accedere alla scuola preuniversitaria per due anni. Durante la decima classe i ragazzi devono decidere il campo dove si vogliono specializzare. Per esempio, chi vuole specializzarsi nel ramo scientifico va a Dharmsala, A Copalbur vanno i ragazzi interessati in scienze politiche, arte, economia, psicologia, inglese, a 30 km da Dharmsala. Studenti comuni vanno al Sud. Fino alla classe n. 12 dopo la quale devono sostenere un altro esame con un punteggio minimo del 60% per accedere alle università indiane a Delhi, Mombay, Bangalore, Kalcota. I ragazzi non molto intelligenti, non tanto bravi a scuola, non capaci ad accedere alle università, di solito vanno al Vocation Training Centre, una scuola professionale, dove si insegnano dei mestieri quali, il carpentiere, l’elettricista e altro. Circa il 50-60 % va all’Università, la restante parte rimane nei campi.
Dopo la conversazione con il direttore comincio il tour nel TCV. Mi accompagna un signore che vive là da tre anni e che ha imparato l’inglese in questo periodo. I 2000 studenti vengono ospitati in sei ostelli. Gli altri studenti che non vivono negli ostelli, vengono alloggiati nelle home, ognuna delle quali ha quattro stanze, con quattro letti ognuna. Tutti i ragazzi che si trovano in questi alloggi non hanno una famiglia, gli altri vivono nelle case del settlement insieme ai loro genitori o altri parenti.
Ci sono 150 insegnanti nella scuola, ai quali è affidata l’educazione dei ragazzi.
E’ presente una biblioteca aperta nel 1970, con circa dieci mila libri presenti e altri sette mila fuori, o perché smarriti dagli studenti o perchè ormai vecchi e in disuso, in lingua inglese e tibetano.
All’interno del TCV è presente anche un laboratorio artigianale, dove viene insegnato agli studenti come fare le uniformi per la scuola, il taglio, il cucito, e lo stiramento, con lezione teoriche, ma soprattutto con la pratica. C’è un laboratorio di computer, uno per gli esperimenti scientifici, un grande campo di calcio, un altro per il basket, un laboratorio per la visione di film e documentari, un grande stupa. C’è anche un Vocational Centre dove si costruiscono oggetti di metallo, come cancelli, porte e altro.
Affianco al TCV fuori dalle mura è presente un monastero e una casa per gli anziani che ospita 60 persone. Domani si ritorna al TCV.

Wednesday 23 September 2009

LEH: UNA MERAVIGLIA TRA LE MONTAGNE




Dopo 24 ore di completo riposo per l’acclimatamento, finalmente oggi inizio a visitare la città di Leh, alla scoperta dei suoi tesori. L’acclimatamento non è stato facile. Un giorno intero senza nessuna attività fisica, a parte quella di salire le scale per andare in camera, e già con questa sembrava di fare un’arrampicata. E poi molta acqua e the. La notte è stata terribile, dopo 3 ore di sonno sveglia e poi un dormiveglia fino a questa mattina. Non riuscivo ad alzarmi dal letto. Mamma mia! Poi mi sono fatto forza e sono andato a fare colazione. La testa mi girava e non stavo ancora per niente bene. Ma dopo 3 toast e un omelette e un’aspirina mi sono ripreso.
Inizio a scendere a piedi con molta cauta verso il centro della città. La mia attenzione è attirata da un mercato all’aperto tibetano. Mi fermo a dare un’occhiata, tanti prodotti artigianali, soprattutto collane e bracciali. In questo momento penso quanto sarebbero tanto piaciuti a Lucia. Poi mi fermo ad una bancarella e chiedo alle due ragazze che erano là se sono tibetane e loro me lo confermano. Allora inizia una breve chiacchierata con loro. Mi dicono che, di solito, si fermano a Leh per i 3 mesi estivi e poi vanno via. Una di loro mi dice che fra 3 giorni andrà in vacanza a Delhi per dieci giorni e poi si sposta verso la regione del Goa a sud-ovest dell’India. Naturalmente lo fa per business. Leh è piena di turisti durante l’estate, invece Goa ha un turismo che dura tutto l’anno. La merce che vendono è fatta a mano in Tibet, la quale viene, dapprima, portata in Nepal e successivamente in India. Una di loro mi dice che ha tutta la sua famiglia in Tibet e che si sentono solo per telefono. Entrambe hanno attraversato le montagne per arrivare in Nepal, impiegandoci 30 giorni e poi si sono spostate in India con il bus. Immaginate che fatica camminare per tutti quei giorni. Solo la voglia di una vita migliore può spingere e dare la forza a tanti tibetani di compiere quel lungo cammino.
Il mio tour continua. Vado in giro alla cieca. Mi giro intorno e comincio a salire per le strette stradine. E’ tutto così autentico. Le vacche vanno in giro indisturbate e indifferenti dai passanti. La fognatura è a cielo aperto e l’odore non è dei migliori. Ma la vista dell’architettura della città e delle persone che vi abitano e poi sullo sfondo e versanti delle montagne marroni senza nessuna vegetazione e in lontananza l’Himalaia con le cime innevate. Cosa devo dire di più? Sembro un bambino alla vista di tutto questo. Molte strade sono sabbiose e le folate di vento alzano tanta polvere, tanto che a volte mi sembra di stare in mezzo ad un deserto. Girano tanti cani randagi. E alcuni mi abbaiano e io naturalmente me la do a gambe. I ragazzini sono incuriositi dalla mia macchina fotografica. Ne incontrò tre, uno dei quali stava facendo la pipì in mezzo alla strada. Si è abbassato i pantaloni e ha tirato fuori il pivellino. Ho fatto un po’ di foto e loro erano molto divertiti. Vogliono vedere le foto ogni volta che scatto e si mettono in posa. Penso che non hanno più 5-6 anni. Mi rialzo e cominciano a giocare con i lacci del mio zaino. La situazione è così simpatica. Vado ancora più su e mi trovo nella parte più alta di Leh. Il paesaggio è molto brullo. Tanta spazzatura ricopre il terreno marrone. I cani si appisolano addosso ai muretti a secco . E le case quassù sono molto piccole e isolate l’una dall’altra. Vedo una signora, con i tipici vestiti che sembrano più tanti stracci sistemati l’uno sull’altro, con le mani dentro un bidone, le scuote e non capisco cosa stia facendo. Poi tira fuori un contenitore e capisco che sta prendendo dell’acqua. La carica sulle sue spalle, sembra molto pesante, si incammina in discesa, ad un certo punto si ferma e si riposa per un attimo, e poi la vedo scalare una salita rapidissima, vorrei aiutarla, ma capisco che quello è il suo lavoro giornaliero. Porta l’acqua a casa. Scompare dalla mia vista come un fantasma. Ritorno verso il centro di Leh e là incontro altri mercati di prodotti tibetani, molti sono anche i negozi e si notano gli adesivi “Tibet free”. Domani vado a visitare il Ladack TCV, cioè un centro educazionale tibetano che si trova a 9 km da Leh. A presto.

Tuesday 22 September 2009

ARRIVO A LEH

Sull’aereo per Delhi ad un certo punto dal finestrino scompaiono le nuvole e la vista diventa spettacolare. Ghiacciai e nevi perenni ricoprono le cime delle alte montagne dell’Himalaya. Fantastico! Sembra di vivere una fiaba. Il colore delle cime scure contrasta il colore bianco delle nevi. Avvicinandosi a Leh, pian piano i ghiacciai lasciano spazio ai versanti brulli di colore grigio marrone. Appena uscito dall’aereo un senso strano di stanchezza invade il mio corpo. Colpa dell’altitudine. Mi trovo a 3500 m s.l.m.. ho bisogno di un paio di giorni di acclimatamento. La guesthouse che ho scelto è un posto splendido, si respira un’atmosfera molto serena e familiare, con una bellissima vista della catena montuosa. Delle donnine di Leh, che hanno tratti intermedi tra quelli indiani, cinesi e pakistani, trovandosi vicino al loro confine., puliscono e preparano le colazioni servite all’aperto in una giornata splendida, ottima per rilassarsi e godersi questo mio primo giorno in Ladack.

On the plane from Delhi, in few minutes the clouds disappeare and the view becomes spectacular. Glaciers and snow cover the high Himalaya mountains. Fantastic! Close to Leh, the glaciers leave space to the bare slopes of gray and brown color. When I go out from the plane, I have a strong feeling of tiredness. This is mal of altitude. I am at 3500 m. I need a couple of days of acclimation. The guesthouse which i choosed is a beautiful place, you can breath a peacefull atmosphere, with a fantastic view on the mountains. I can see some women from Leh, who look between Indian, Chinese and Pakistanese people because of nearness of their borders, clean and make breakfast for the guests outdoor during a sunshine day, which is very good to rest in my first day in Ladack.

IL QUARTIERE TIBETANO A DELHI




Ieri ho dedicato la mia giornata alla visita del quartiere tibetano a Delhi. Si trova lungo il fiume. Appena entrato sembrava di stare in un'altra città, non a Delhi, l’atmosfera era diversa. Tutto molto più tranquillo. Mi sono trovato sulla strada principale e subito ho notato i primi monaci tibetani con la loro classica toga colorata. Le bancarelle sulla sinistra con tanti oggetti esposti: collane, vestiti, cd musicali. Mi fermo a bare qualcosa per rinfrescarmi dalla calda giornata. Giungo alla fine della strada e mi trovo in un parco pubblico dove alcuni ragazzi indiani dormivano sulle panchine, ma la cosa che più mi salta all’occhio sono le bandiere delle preghiere tibetane, così colorate. E’ il mio primo contatto con loro, ho visto tante foto, ne ho sentito tanto parlare, mi sento emozionato. Le osservo, scatto un po’ di foto, ma mi sento così preso, così catturato da quelle frasi che vi sono impresse sopra e che non riesco a decifrare. Vedo un monaco con 2 ragazze e comincio a parlare, ma il monaco non parla inglese, le ragazze si. Allora loro si offrono di farmi da interprete. Il monaco, arrivato in India nel 1992, ha trascorso i primi anni al Sud e poi si è spostato a Delhi. Le ragazze mi raccontano come hanno attraversato le montagne a piedi dat Tibet per arrivare in Nepal e da lì hanno raggiunto l’India con l’autobus. Il monaco mi dice che a Delhi ci sono più di duemila tibetani. Essi , solitamente, arrivano a Delhi e poi si spostano nel resto del Paese, chi a Nord e chi a Sud verso Bangalore, dove sono presenti nove settlement che ospitano rifugiati tibetani. Comincia per me questo viaggio di documentazione che porterà per quasi 4 mesi in giro a visitare i TCV, centri scolastici, dove i bambini vengono educati, i campi profughi, le case degli anziani, un reportage che mi porterà a capire in profondità la difficile realtà del popolo tibetano, costretto a fuggire dal proprio Paese, a causa dell’invasione cinese.
Continuo il mio giro, torno indietro e mi addentro in stradine molto strette e buie. Ogni casa è contrassegnata da un numero del blocco e da quello della casa. C’è un piccolo ristorante dove dei ragazzi giocano ad uno strano gioco da tavolo. Entro a vedere un centro di educazione e una ragazza mi accompagna sulle rampe delle scale che giungono fino al terzo piano dove si trova una stanza adibita a tempio. Tutti gli ambienti sono molto scuri, poca luce, ma anche pochi colori. Là vivono dieci monaci.
Nella piazza principale ci sono altri due templi Buddisti, un bambino giocava con il padre con i palloncini gonfiabili e la scena è molto tenera e divertente. Incontro poi un tibetano un po’ pazzo, che poi scopro che è un alcolizzato, che comincia a parlare velocemente in un inglese quasi incomprensibile e mi spiega tutto sui templi. Lo incontrerò altre due volte Incontro anche dei mendicanti che chiedono l’elemosina. Vivono nelle baracche che si trovano dietro il complesso sulla riva del fiume.
A pranzo entro in un ristorante e, sedendomi, vedo una signora ed un monaco che avevo visto in precedenza in strada, li saluto e loro mi invitano a sedermi con loro . Scopro che si occupano di progetti, soprattutto in Nepal, riguardo ai rifugiati tibetani. Trascorriamo più di un’ora e parliamo della situazione tibetana. I tibetani non hanno un passaporto e ogni volta che devono uscire dall’India hanno bisogno di un permesso speciale. I confini tra il Tibet e il Nepal, dice il monaco, sono più strettamente controllati negli ultimi due anni per un volere del dei governi del Nepal e della Cina. L a maggior parte dei settlement si trova a Sud dove le condizioni climatiche e culturali sono molto diverse. Questa concentrazione dei campi al Sud è dovuta al favoreggiamente da parte di un politico Indiano, particolarmente attento ala questione tibetana all’epoca del loro esodo in India. Si può capire quanto sia difficile per loro adattarsi a condizioni di vita così diverse da quelle originarie.

Monday 21 September 2009

OLD DELHI AGAIN








Oggi avevo pensato di visitare New Delhi. Ma appena arrivato nella parte nuova della città ho cambiato idea e sono ritornato nelle strade dove ero stato ieri, nella mitica Old Delhi. L’atmosfera che si respirava questa mattina era festiva. Molti negozi erano chiusi, c’era meno traffico e meno gente per strada. Sul marciapiede si potevano notare molti barbieri al lavoro, intenti a tagliare capelli o radere la barba. Tutto alla luce del giorno, muniti di specchietto, pennello e crema da barba offrivano il loro servizio. E’ stato curioso. E poi ho visto alcuni ragazzi che facevano la “lavatrice”, cioè lavavano i panni muniti di saponetta e una vasca con dell’acqua. Sotto i portici del bazar, quasi accanto ai barbieri. Molta gente consumava dei pasti cucinati per strada dai cuochi del marciapiede. Che fame mi era venuta. Ma ho resistito.
Il pomeriggio ho visitato il sito dove è stato cremato Ghandy e il museo nazionale dedicato a lui, con una serie interessante di fotografie relative al corso della sua vita. Diciamo che è una giornata tranquilla e festiva anche per me oggi. Un salutone a tutti. A domani con la visita del quartiere tibetano. Ciaoooooooo!!!


This morning When I woke up I wanted to go to visit New Delhi, but then when I arrived there I changed my minds and i went again to the Old Town. This morning there was a lovely atmosphere. The most of the shops were closet, there was less traffic end people on the street. N the footpath there were many barbers working with their client at the daylight. It was fantastic situation. And I saw also some guys washing cloths, many people eating close to the street shop. I was hungry, but I didn’t get anything. Very hard! And then I went to visit the Ghandi National museum where there was a photographic exhibition about his whole life. It was interesting. Quite day for me. Tomorrow I am going to visit the Tibetan quarter. Bye to everybody.

Saturday 19 September 2009

CRAZY DELHI






E’ cominciato oggi il mio lungo viaggio in India che mi porterà per 3 mesi in giro in questa meravigliosa terra. Il primo impatto è stato forte. Appena uscito dall’hotel questa mattina un’ondata di calore mi ha investito in pieno, e non essendo abituato, visto le temperature dublinesi, all’inizio ho un po’ sofferto. Dall’hotel mi sono diretto verso il Red Fort, ho attraversato il bazar della città vecchia, piano di bancarelle e di gente che camminava, tante merci, le più svariate, cibo cucinato per strada, e inoltre vendevano anche acqua con il succo di lime, che naturalmente, per prudenza ho deciso di non assaggiare, anche se visto il caldo la tentazione mi era venuta. Ad un certo punto sono sceso verso la stazione dei treni della città vecchia. Tanta gente aspettava, piena di merci e buste piene di cose. Ad un certo punto prima che arrivasse il treno tante persone si sono riversate sul tratto che corre tra i binari e mi chiedevo che intenzioni avessero. Arrivato il treno, sono in pratica saltate sul treno, che non aveva porte, tutto aperto, al posto delle finestre c’erano due sbarre e la gente si affacciava per prendere un po’ di aria. Una serie di carrozze arruginite, di colore verde. Sulla banchina anche tanti mendicanti mostravano la loro nullatenenza. Ritornato al bazar, ho vissuto situazioni pazzasche: gente che sputava qualcosa di rosso, che non ho capito cos’era, venditori di cocco, trasportatori, c’era di tutto, situazioni che se non le vivi non le puoi immaginare. La gente mi è sembrata disponibile e contenta di farsi fotografare. Solo in pochi non hanno accettato il mio invito. E comunque in tutto ciò quello che mi ha più affascinato in questa giornata sono le donne con i loro vestiti dai mille colori. Sono così eleganti e così vivaci nel loro modo di essere. I loro occhi esprimono pace e bellezza interiore. I loro gioielli poveri, ma luccicanti e dorati che spiccano sulla loro penne più o meno scure le arricchiscono nella loro semplicità.
Poi c’è stata la visita del Red Fort che direi mi ha un po’ deluso, ma almeno mi ha dato molti spunti per fare dei ritratti alle donne. Molto disponibili e simpatiche si sono prestrate a farmi da modelle, con i loro sguardi molto intensi. In seguito ho visitato la più grande moschea di Delhi, la Jama Masjid, il cui atrio centrale può ospitare anche 25000 persone, un immenso spazio, nella cui parte centrale si posizione una vasca quadrata piena di acqua, in prossimità della quale i devoti si siedono e si bagnano il viso, le braccia e i piedi e bevono qualche sorso di acqua per purificarsi. Li ho visti anche lavarsi i denti con un accessorio non ben identificato. E poi girando, naturalmente senza scarpe, visto che si tratta di un sito religioso musulmano, tante donne e bambini, erano seduti all’ombra. Mi sono avvicinato a molte di loro. I bambini sono così carini e con i loro vestiti sembrano delle bamboline. Uscendo, un bambino mi ha chiesto se gli potevo fare delle foto e dopo aver finito mi ha chiesto dei soldi, ma io purtoppo e a malincuore ho dovuto dire di no. Mi ha seguito per 10 minuti e continuava con la sua richiesta, era insistente , sembrava la mia ombra. Aveva non più di 10 anni. Mi guardava con uno sguardo penoso. E’ stata la prima volta nella mia vita che mi trovavo di fronte a una situazione del genere.
Camminare per le strade di Delhi è veramente difficile, un fiume di gente e poi moto, risciò, tuc tuc che spesso di sfiorano nella loro corsa e frenesia. Le orecchie sono messe a dura prova visto che gli indiani lo usano sempre, e noi ci lamentiamo in Italia. Mamma mia. Un frastuono assurdo. Dopo ore di cammino ora mi sembra di essere andato in discoteca. Una bella giornata da non dimenticare.



Hi guys, my first day in Delhi was crazy, traffic, noise and sunshine. Walking is like staying in the traffic in Rome and all the distances seem longer, because they are rivers of people in the street and many tuc tuc, risciò, taxii with 3 wheels, running really close to you.
I saw many different crazy situations. I visited the bazar, the old train station, the Redd Fort and the biggest mosque in Delhi, Jama Masjid. It was really hot, 35 degrees all day, very different from Dublin. The Indian women are fantistic and they wear lovely colourfull clothes. So what can I say? I could start to taste India. Cross your fingers for me. See you tomorrow.

Tuesday 1 September 2009

Storia del Tibet - History of Tibet

Il Tibet era uno Stato indipendente, con il suo Governo, la sua economia, la lingua, la cultura e la religione, fino all'invasione cinese. Fin dall'inizio dell'aggressione cinese nei confronti del Tibet del 1949, unmilioneduecentomila tibetani ( circa un sesto della popolazione totale ) sono morti a causa di persecuzione politica, esecuzioni, torture e fame. Più di seimila Monasteri, conventi e altri antichi centri culturali e religiosi sono stati distrutti. Il Tibet è stato invaso dai cinesi e ci sono ora settemilionicinquecentomila cinesi contro i seimilioni di tibetani che vivono in Tibet. I tibetani sono ancora perseguitati, imprigionati e uccisi a causa del loro credo politico e religioso e perché tengono dimostrazioni non violente per dichiarare il diritto alla libertà nel loro paese.
Nel 1959, in seguito alla ribellione di Lhasa e alla successiva repressione dei cinesi, Sua Santità il Dalai Lama lasciò il Tibet per cercare asilo politico in India. Poco dopo, un massiccio esodo di circa 85.000 tibetani invase l'India, il Nepal ed il Bhutan. Essi fecero un terrificante viaggio attraverso i passi Himalaiani alti 5.000 metri e molti, specialmente donne e bambini, morirono lungo la strada. La fuga dalla propria Patria spesso porta la popolazione a perdere la cultura originale e a trasformare il consueto stile di vita, ma la salda determinazione dei rifugiati tibetani ha preservato la loro religione e la loro cultura anche in esilio. E' importante ora come lo era nel 1959 mantenere intatte queste espressioni di vita tibetana nei campi e nelle comunità dei rifugiati.

Tibet was an independent country with its own government, economy, language, distinct culture and religion unti1 its invasion by the Chinese.
Since the beginning China's aggression towards Tibet in 1949, approximately 1.2 million Tibetans (around one sixth of the total population) have died through political persecution, execution, torture and starvation. over 6,000 monasteries, nunneries and other ancient religious and cultural centres have been destroyed. Tibet has been flooded by Chinese people and there are now 7.5 mil1ion Chinese to the 6 million Tibetans living in Tibet.
Tibetans are still being persecuted, imprisoned and killed far their political and religious beliefs, and far holding non-violent demonstrations declaring their right to self-determination in their own country .
In 1959, following the Lhasa Uprising and subsequent suppression by the Chinese, His Holiness the Dalai Lama left Tibet to seek political asylum in India. Shortly after, a massive flood of around 85,000 Tibetans poured into India, Nepal and Bhutan. They made the gruelling journey over the
16,000 foot Himalayan passes and many, especially women and children, died on the way.
Departure from a known environment often causes a population to lose its culture and transform its traditional lifestyle, but the unshakable determination of the Tibetan refugees has preserved their religion and culture in exile. It is as important now as it was in 1959 to maintain the Tibetan way of lire in the refugee settlements and communities.