Ieri ho dedicato la mia giornata alla visita del quartiere tibetano a Delhi. Si trova lungo il fiume. Appena entrato sembrava di stare in un'altra città, non a Delhi, l’atmosfera era diversa. Tutto molto più tranquillo. Mi sono trovato sulla strada principale e subito ho notato i primi monaci tibetani con la loro classica toga colorata. Le bancarelle sulla sinistra con tanti oggetti esposti: collane, vestiti, cd musicali. Mi fermo a bare qualcosa per rinfrescarmi dalla calda giornata. Giungo alla fine della strada e mi trovo in un parco pubblico dove alcuni ragazzi indiani dormivano sulle panchine, ma la cosa che più mi salta all’occhio sono le bandiere delle preghiere tibetane, così colorate. E’ il mio primo contatto con loro, ho visto tante foto, ne ho sentito tanto parlare, mi sento emozionato. Le osservo, scatto un po’ di foto, ma mi sento così preso, così catturato da quelle frasi che vi sono impresse sopra e che non riesco a decifrare. Vedo un monaco con 2 ragazze e comincio a parlare, ma il monaco non parla inglese, le ragazze si. Allora loro si offrono di farmi da interprete. Il monaco, arrivato in India nel 1992, ha trascorso i primi anni al Sud e poi si è spostato a Delhi. Le ragazze mi raccontano come hanno attraversato le montagne a piedi dat Tibet per arrivare in Nepal e da lì hanno raggiunto l’India con l’autobus. Il monaco mi dice che a Delhi ci sono più di duemila tibetani. Essi , solitamente, arrivano a Delhi e poi si spostano nel resto del Paese, chi a Nord e chi a Sud verso Bangalore, dove sono presenti nove settlement che ospitano rifugiati tibetani. Comincia per me questo viaggio di documentazione che porterà per quasi 4 mesi in giro a visitare i TCV, centri scolastici, dove i bambini vengono educati, i campi profughi, le case degli anziani, un reportage che mi porterà a capire in profondità la difficile realtà del popolo tibetano, costretto a fuggire dal proprio Paese, a causa dell’invasione cinese.
Continuo il mio giro, torno indietro e mi addentro in stradine molto strette e buie. Ogni casa è contrassegnata da un numero del blocco e da quello della casa. C’è un piccolo ristorante dove dei ragazzi giocano ad uno strano gioco da tavolo. Entro a vedere un centro di educazione e una ragazza mi accompagna sulle rampe delle scale che giungono fino al terzo piano dove si trova una stanza adibita a tempio. Tutti gli ambienti sono molto scuri, poca luce, ma anche pochi colori. Là vivono dieci monaci.
Nella piazza principale ci sono altri due templi Buddisti, un bambino giocava con il padre con i palloncini gonfiabili e la scena è molto tenera e divertente. Incontro poi un tibetano un po’ pazzo, che poi scopro che è un alcolizzato, che comincia a parlare velocemente in un inglese quasi incomprensibile e mi spiega tutto sui templi. Lo incontrerò altre due volte Incontro anche dei mendicanti che chiedono l’elemosina. Vivono nelle baracche che si trovano dietro il complesso sulla riva del fiume.
A pranzo entro in un ristorante e, sedendomi, vedo una signora ed un monaco che avevo visto in precedenza in strada, li saluto e loro mi invitano a sedermi con loro . Scopro che si occupano di progetti, soprattutto in Nepal, riguardo ai rifugiati tibetani. Trascorriamo più di un’ora e parliamo della situazione tibetana. I tibetani non hanno un passaporto e ogni volta che devono uscire dall’India hanno bisogno di un permesso speciale. I confini tra il Tibet e il Nepal, dice il monaco, sono più strettamente controllati negli ultimi due anni per un volere del dei governi del Nepal e della Cina. L a maggior parte dei settlement si trova a Sud dove le condizioni climatiche e culturali sono molto diverse. Questa concentrazione dei campi al Sud è dovuta al favoreggiamente da parte di un politico Indiano, particolarmente attento ala questione tibetana all’epoca del loro esodo in India. Si può capire quanto sia difficile per loro adattarsi a condizioni di vita così diverse da quelle originarie.
Continuo il mio giro, torno indietro e mi addentro in stradine molto strette e buie. Ogni casa è contrassegnata da un numero del blocco e da quello della casa. C’è un piccolo ristorante dove dei ragazzi giocano ad uno strano gioco da tavolo. Entro a vedere un centro di educazione e una ragazza mi accompagna sulle rampe delle scale che giungono fino al terzo piano dove si trova una stanza adibita a tempio. Tutti gli ambienti sono molto scuri, poca luce, ma anche pochi colori. Là vivono dieci monaci.
Nella piazza principale ci sono altri due templi Buddisti, un bambino giocava con il padre con i palloncini gonfiabili e la scena è molto tenera e divertente. Incontro poi un tibetano un po’ pazzo, che poi scopro che è un alcolizzato, che comincia a parlare velocemente in un inglese quasi incomprensibile e mi spiega tutto sui templi. Lo incontrerò altre due volte Incontro anche dei mendicanti che chiedono l’elemosina. Vivono nelle baracche che si trovano dietro il complesso sulla riva del fiume.
A pranzo entro in un ristorante e, sedendomi, vedo una signora ed un monaco che avevo visto in precedenza in strada, li saluto e loro mi invitano a sedermi con loro . Scopro che si occupano di progetti, soprattutto in Nepal, riguardo ai rifugiati tibetani. Trascorriamo più di un’ora e parliamo della situazione tibetana. I tibetani non hanno un passaporto e ogni volta che devono uscire dall’India hanno bisogno di un permesso speciale. I confini tra il Tibet e il Nepal, dice il monaco, sono più strettamente controllati negli ultimi due anni per un volere del dei governi del Nepal e della Cina. L a maggior parte dei settlement si trova a Sud dove le condizioni climatiche e culturali sono molto diverse. Questa concentrazione dei campi al Sud è dovuta al favoreggiamente da parte di un politico Indiano, particolarmente attento ala questione tibetana all’epoca del loro esodo in India. Si può capire quanto sia difficile per loro adattarsi a condizioni di vita così diverse da quelle originarie.
No comments:
Post a Comment