Wednesday 18 November 2009
VERSO CHANDRAGIRI: IL CAMPO PROFUGHI TIBETANO IN ORISSA
Prendo il taxi, un enorme fuoristrada con i vetri oscurati. Bharampur è molto trafficata. Uscendo dalla città, ormai il sole è calato e le strade sono buie. Piccoli villaggi sorgono lungo la strada. Sembrano quasi capanne, molte hanno il tetto di paglia e piccoli negozietti rompono l’oscurità. Ai lati della strada, illuminate dai fari, numerose donne con i loro sari colorati, che appena si intravedono, sono accovacciate e fanno i loro “bisogni”. Sono tante, le loro case non hanno il bagno e sono costrette a farlo di notte quando nessuno le vede. La strada si fa sempre più deserta, enormi alberi secolari punteggiano il lato della strada con le loro fasce colorate di bianco e rosso sul tronco, visibili ai fari del fuoristrada. Il bosco si infittisce e l’atmosfera cambia. Non sembra più di essere in India. Mi trovo in un paradiso di pace che però ancora non riesco a vedere nell’oscurità, ma solo a percepire.
Sono ospite a casa di una famiglia tibetana. Faccio colazione nel cortile a poca distanza da un gruppo di mucche che sembrano più addormentate di me. Dei bambini giocano sulla strada non asfaltata e un odore di campagna riempe i miei sensori olfattivi. Delle bandiere di preghiera tibetane corrono da un albero ad un altro e le loro ombre si incrociano sulla strada. Lungo la strada delle palafitte piene di pannocchie di mais si ergono su pali di cemento o di legno. Il mais di colore arancione ormai quasi secco forma un bel mosaico dietro le reti metalliche e le fasce di bambù che non lo fanno straripare. Sotto le palafitte le mucche campeggiano.
Inizia così un’altra tappa del mio percorso tibetano.
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