Monday 2 November 2009

MOTHER TERESA’S HOME FOR DYING PEOPLE




Mi preparo psicologicamente alla visita del centro per le persone morenti delle missionarie della carità. So che non sarà facile, ma dietro il mio obbiettivo cercherò di non farmi prendere dalla situazione. Arrivo alla porta d’ingresso e sulle scale che portano all’ingresso noto già una scena che mi fa rabbrividire. Un signore siede sulle scale e un dottore indiano gli sta medicando un piede che appare molto gonfio insieme al tutta la gamba inferiore. Sembra che ci sia una forte infezione. Il dottore fa fatica ad allargargli le dita del piede per far passare la garza con il disinfettante. L’uomo ha una smorfia di dolore. Il dottore pulisce i gradini con una garza e l’aiuto di un paio di forbici.
Entro finalmente. Uomoni e donne sono divisi in due sale differenti. I volonari sono indaffarati. Un’infermiera italiana sta medicando un paziente e un ragazzo la aiuta, altri lavano i panni nella sala della lavanderia, le suore danno istruzioni.
Nella sala delle donne i raggi del sole penetrano dai finestroni. Sono molto taglienti e creano una luce drammatica. I pazienti sono stesi su lettini di pelle marrone. I cuscini hanno una federa di colore verde-blu. Il contrasto è forte. E’ difficile camminare, bisogna trovare lo spazio tra i lettini. Ne conto più di trenta. Una signora è stesa, il viso è coperto da una coperta e appena mi sente che mi avvicino si scopre. I suoi occhi brillano. Mi fa un cenno con la mano per salutarmi. Ha i capelli rasati. Vorrebbe dirmi qualcosa ma quel suo gesto ha un maggior significato di tutto il resto.
Altre dormono oppure stanno rannicchiate sui loro letti. Una signora si lamenta a voce alta, non so per cosa, si trova all’angolo della stanza ed è seduta su una sedia. Mentre cammino mi trovo davanti ad un’altra donna sdraiata. Una coperta gialla le copre il corpo. E’ molto magra, i capelli rasati e dei grandi denti che le sporgono dalla bocca. Mi parla, ma non capisco, mi parla ancora, ma non posso risponderle, mi indica qualcosa con la mano, ma non so cosa, fa una smorfia, la pelle del sua faccia si arriccia e i suoi denti si distaccano l’uno dall’altro. Riappoggia la testa sul cuscino appoggiata su una della guance. Le braccia fanno intravedere le ossa e la pelle senza più vigore. Gli zigomi sono sporgenti e gli occhi incavati. La lascio con un senso di impotenza.
Gli uomini indossano dei pantaloni verdi e una maglietta rossa. Alcuni hanno una gamba amputata, un ragazzo ha un buco nel cranio. Un verme si è cibato di esso dall’interno. La sua testa ha un’ampia fasciatura. Non ha molte speranze. Un signore steso sul suo lettino ha la pelle giallognola. Si gira e si rigira. I suoi occhi rimangono sempre chiusi. Si porta le mani sul petto e si ferma. Il suo numero del letto è il numero 49, un numero come tanti altri.
Cosa fare a tutto questo? I volontari danno una mano alle suore. Si danno da fare. Ma cosa ne sarà di tutte queste persone una volta usciti da qua? Qualcuno morirà dentro altri moriranno fuori, altri si salveranno. Tutti continueranno ad essere vittime della povertà.

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