Tuesday 29 December 2009
IN GIRO TRA I VILLAGGI THARU
Fa molto freddo questa mattina e tutto è avvolto da una fitta nebbia. Il sole, salendo, comincia a farsi vedere solo verso le 9.30 e la nebbia comincia a diradarsi. Prendo la strada che mi porta verso la zona dei villaggi della tribù dei Tharu, distribuita lungo la fascia sud del Nepal. Due ragazzini trasportano delle pietre aiutati da un sacco, due ragazze sono impegnate a intelaiare una stuoia fatta di paia, usando un telaio simile a quello usato per fare i tappeti, un ragazzino cerca di rendere liscio un mobile appena fatto con l’uso della carta vetrata. Un signore ha appena finito di farsi la doccia e si riveste, un bambino si lava i denti aiutato dalla madre. Tutti sono ormai attivi e la giornata è cominciata a pieno ritmo. Le case tipiche dei Tharu hanno il tetto fatto di paglia e le mura sono costruite con delle cannucce, canne di bambù e fango secco. Gli animali sono numerosi. Capre, vacche e bufali, sono impegnati a mangiare la paglia secca, le oche camminano indisturbate con i loro cuccioli a seguire e altrettanto fanno le galline. L’agricoltura è la loro maggiore attività, mais, grano, mostarda sono le colture principali. Anche la pesca è molto adottata è il pesce è uno dei loro piatti tipici. I villaggi sono circondati da campi ricoperti da fiori gialli che formano un tappeto inverosimilmente colorato. Riesco ad entrare in una delle case e con mia sorpresa una signora vede la TV, una presenza che contrasta con il resto dell’ambiente, la tecnologia in una casa dal pavimento di fango, senza luce e acqua. I bambini sono contenti della mia presenza e devo stare attento alla mia testa perché tutto è molto basso. Ci sono dei letti con le reti per le zanzare e non ci sono finestre, tutto è molto buio e la luce penetra solo da alcune fessure.
Le mani e le gambe di una signora anziana sono decorate dai tipici tatuaggi Tharu. Sono scoloriti, ormai è passato tanto tempo da quando sono stati realizzati. Un ragazza allatta il suo bambino e un’altra con il suo baby sulle sue gambe gli disegna il viso con i simboli tipici della religione indu. Gli colora gli occhi di nero e gli disegna un pallino marrone al centro della fronte.
Arrivando in un grande villaggio un signore decide di accompagnarmi e tutti sono in curiosi ti dalla mia presenza. Ad un certo punto mi invita a entrare nel bosco dicendomi di seguirlo perché mi voleva far vedere un rinoceronte. Ed in effetti, ad un certo punto, accanto ad una radura, un enorme e vecchio rinoceronte mangiava. La mia prima volta. Che emozione vederlo nel suo ambiente naturale. Ci fissa, è a soli 20 metri da noi. Il villano mi dice di stare attento perché è pericoloso. Ma continua a mangiare e ogni tanto alza la testa quando ci muoviamo o facciamo rumore. Delle pecore brucavano accanto a lui non preoccupandosi di niente. Una scena meravigliosa.
Friday 25 December 2009
UN NATALE INSOLITO
Tuesday 22 December 2009
UN LUNGO CAMMINO PER RAGGIUNGERE IL CAMPO PROFUGHI TIBETANO
Un lungo cammino mi aspetta oggi per raggiungere il campo profughi tibetano. C’è ancora lo sciopero nazionale e non ho altra scelta che affidarmi alle mie gambe.
Di primo mattino, appena lasciato l’albergo, incontro il mio primo funerale nepalese. Un corteo accompagna il corpo avvolto da un vestito colorato e trasportato su una specie di barella sulle spalle di alcuni familiari che ha turno si scambiano il posto, visto che dovranno camminare 4 km prima di raggiungere le rive del fiume dove il corpo verrà cremato. Molti ragazzi giocano per strada a cricket sulla strada enorme che porta verso il centro della città. Raggiungo la parte più antica della città. Sembra una domenica europea. Gli anziani sono seduti e chiacchierano, altri leggono il giornale, poche bancarelle ambulanti vendono la frutta o le noccioline americane. Noto molti bambini poveri. I loro vestiti sono strappati e sporchi, ma loro non si preoccupano di quello che hanno o indossano. Pensano solo a divertirsi per strada. Un bambino piange a squarciagola seduto sul marciapiede tra le gambe della mamma. Cerco di fargli una foto per farlo distrarre e divertire, non sembra funzionare, ma dopo un po’ con l’aiuto della mamma riusciamo a sollevargli la testa rannicchiata tra le sue gambe e noto un suo leggero sorriso appena mi vede.
Sto per uscire dalla città e il panorama cambia. La strada corre lungo un fiume e in lontananza si nota la magnifica catena dell’Annapurna che, con i suoi oltre 8 mila metri di altezza, domina su tutto. Un signore seduto su uno scalino è impegnato a scrivere su un quaderno e mi dice che non ha soldi e me lo ripete ancora e ancora.
Mentra camminavo vicino la riva del fiume in posizione più bassa rispetto alla strada, da lontano, sento delle voci di bambini: hello, hello. Si rivolgono a me. Dalla strada mi vedono e mi raggiungono. Vogliono della cioccolata ma io purtroppo non ho niente. Mi chiedono di fargli una foto e si posizionano accanto ad un palo con un segnale stradale, mentre io sono più in basso. Molti bambini lungo la strada fanno lo stesso. Sono bambini che purtroppo non hanno tanto e cercano di prendere qualcosa dai pochi turisti che vedono sulla strada. E mi meraviglia come parlino inglese.
Arrivo finalmente al campo tibetano. Camminando vedo un signore nel cortile della sua casa e un ragazzo seduto di fronte alla porta d’ingresso. Mi invita a prendere un the a casa sua. E’ arrivato in Nepal nel 1959 e quel ragazzo è suo figlio. Ha dei problemi mentali e sua moglie è morta venti anni fa. Una situazione triste, ma lui è così sorridente e il suo animo sprizza di gioia. Vende oggetti di artigianato tibetano e talvolta il pane fatto da lui. Me lo fa assaggiare servendomelo insieme al the. E’ così gustoso e gli faccio i complimenti. Mi spiega che il Nepal e i nepalesi sono sempre stati gentili con i tibetani, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate e peggiorate, per colpa delle pressioni del governo cinese. E’ difficile lavorare.
Una signora che è affacciata dalla sua porta si lamenta di come i turisti siano pochi e non riesce vendere i suoi prodotti di artigianato. Si spendono soldi per andare a Pokhara, tanto tempo, e spesso non si vende niente. E’ una cruda realtà, ma tante persone vivono con poco e la loro sopravvivenza è legata alla vendita di questi prodotti.
Molti giovani hanno lasciato il campo per andare in altri Paesi e ormai le nuove coppie non fanno più tanti figli come prima. La popolazione del campo rispetto ai primi anni si è quasi dimezzata, mi spiega una signora seduta davanti al suo negozio di souvenir.
Monday 21 December 2009
NA CAMMINATA LUNGO LA RIVA DEL LAGO DI POKHARA
Oggi è sciopero nazionale. Tutto è fermo. Per le strade non ci sono macchine, moto, ma solo biciclette e gente che cammina. E’ tutto molto tranquillo. Sembra di essere ritornati alla fine dell’ottocento quando le automobili ancora non esistevano. I ristoranti hanno le saracinesche abbassate e qualcuno rimane aperto rimanendo sempre all’erta nel caso passino dei gruppi maoisti che potrebbero creare dei casini.
Decido di fare una camminata lungo il lago di Pokhara. Il sole è molto piacevole. Uscendo dalla città comincio a vedere una realtà ben diversa da quella che ho visto finora, visto che sono rimasto sempre nel nucleo cittadino. I bambini giocano per strada, una signora con il suo colorato vestito rosso e blu porta sulla schiena un cesto pieno di vegetali. Un signore con l’aiuto di una pala scava sul versante accanto alla strada e raccoglie la terra rossa, la filtra per prendere sola la parte fine e la mette in un sacco. Sul pendio si notano più buchi. Probabilmente la usano per l’orto. Molte barche dei pescatori sono parcheggiate sulla riva e i ristorantini di pesce si susseguono lungo la strada. In una baia l’acqua ristagna e una folta coltre di vegetazione ricopre la superficie dell’acqua. Un signore accompagnato da un ragazzo pescano. Utilizzano un bastone lungo un paio di metri e tirano il filo raccogliendolo attorno ad un pezzo di legno. Al di sotto della strada i campi di riso sono infiniti. La maggior parte sono secchi e oramai tutte le piante sono state tagliate e il riso è stato raccolto. La stagione delle piogge è ormai finita e bisogna aspettare il prossimo anno. Delle donne risalgono il crinale che porta sulla strada caricando sulle loro schiene un grosso cumulo di piante secche di riso che usano come paglia per i bufali e le vacche. Di profilo, sembrano formare un cuore e il colore rosso del vestito di una ragazzo si abbina perfettamente al colore chiaro degli steli secchi.
Delle vacche girano legate intorno ad un palo di legno legate da una corda camminando su un mucchio di paglia di riso distribuito lungo il loro percorso circolare e una ragazzina che indossa una gonnellina verde e un maglioncino rosso le incita a camminare battendole con un bastone e gridando qualcosa in nepalese. Una ragazza siede là vicino e le dico che non avevo mai visto fare una cosa del genere e lei mi chiede se in Italia non si usa fare così. Le spiego che forse 50 anni fa lo facevano e che ora si usano le macchine. Due signori mi passano vicino caricando sulla schiena un sacco pesante pieno di riso. Dei cumuli enormi di paglia di riso sono disseminati sul plateau che lontano sembravano delle piccole capanne. Il sole si sta abbassando, il lago è circondato da montagne e i raggi si propagano seguendo i loro crinali. Sembra di essere in una favola. C’è una leggera foschia che rende tutto più magico.
Due bisonti si incornano a vicenda in una pozzanghera. La lotta dura solo un minuto e poi ritornano sulla loro strada. Un altro fa il bagno e si infanga rigirandosi da una parte a l’altra. Il fango nasconde il colore scuro della sua pelle tesa. Si incamminano verso la strada principale mentre anch’io riprendo la mia per ritornare in città.
Saturday 19 December 2009
UNA GIORNATA AL BOUDHANATH
Il traffico tra le strade di Kathmandu è incredibile e lo smog che si respira ti chiude i polmoni, ma si respira comunque un’aria tranquilla e le strade sono abbastanza pulite. Molte persone indossano una maschera per proteggersi dall’inquinamento. Il mercato pullula di gente e i templi sono decorati con fantastiche statue dorate.
Oggi dedico la mia giornata alla visita del più grande stupa in Nepal, il Bouddhanath. E’ uno dei più sacri luoghi per i buddisti e il suo colore bianchissimo contrasta con il colore blu scuro del cielo, interrotto dalle nuvole bianche spinte da un leggero venticello che rinfresca l’aria. Le bandiere di preghiera tibetane si spingono dalla sua sommità fino ai suoi quattro angoli alla base e formano una colorata scenografia.
Una signora anziana seduta affianco prega e la sua figura viene minimalizzata dalla maestà dello stupa. Le ruote di preghiera girano continuamente intorno allo stupa. Numerosi sono i monasteri buddisti intorno e i monaci camminano tra le stradine strette che circondano lo stupa. Girare intorno è fantastico. Sembra di stare in un villaggio e non in una capitale. I bambini giocano per strada e numerosi sono i piccoli negozi e le bandiere tibetane colorano il quartiere sulla sommità delle case.
Domenica comincia uno sciopero nazionale di tre giorni che bloccherà tutto il Paese. Numerosi sono i problemi politici e gli scioperi paralizzano il Paese frequentemente, a volte senza preavviso. E’ iniziata così la mia nuova avventura in Nepal.
Friday 18 December 2009
Monday 14 December 2009
IN PARTENZA PER IL NEPAL
L'ultima settimana e' stata molto rilassante. le montagne intorno ad Ooty, le piantagioni di the, i villaggi tribali, i laghi di colore verde circondati da lussureggianti foreste, le cascata che, numerose, punteggiano il territorio hanno riempito le mie giornate. E poi una giornata trascorsa al Mudamalai national Park, dove per la prima volta ho visto gli elefanti vivere in liberta' nel loro ambiente naturale insieme a cervi, caprioli, cinghiali, bisonti e scimmie. Insomma e' stata una settimana passata immerso nella natura.
Tre mesi sono ormai trascorsi dalla mia partenza e ora e' tempo di lasciare l'India per andare in Nepal, dove andro' a visitare altri campi profughi tibetani tra Kathmandu e Pokhara. Questi tre mesi sono stati molto intensi e il tempo e' trascorso velocemente. Ho conosciuto tante persone e visitato tanti luoghi. L'India e' un paese affascinante, a volte difficile. Ti lascia a bocca aperta in tante situazioni e la lascio a malincuore, sicuro di tornarci presto.
Wednesday 9 December 2009
UNA GIORNATA TRA LE MONTAGNE DI OOTY
Con la Jeep ci dirigiamo verso le montagne circostanti la citta' di Ooty a 2200 m s.l.m.. Splende un sole stupendo e il cielo e' blu intenso. Il sentiero corre dolcemente e da lontano un gruppo di case costruite su una pendice ospita una tribu' locale, circondate da campi di carote e cavoli. Gli alberi di eucalipto, importati dagli inglesi al tempo del colonialismo, crescono vigorosi. Delle donne raccolgono da terra le loro foglie cadute, dalle quali si ricava un olio usati anche per i massaggi. Le foglie vengono portate sulla lora testa tenute insieme da un telo.
Il paesaggio e' abbellito dalle piantagioni di the che formano un tappeto lungo i due versanti, interrotto da stretti corridoi, dove i raccoglitori di folgie trovano posto. Sporadicamente crescono degli alberi di silver oak, che vengono piantati nello stesso momento delle piante di the per dare loro un po' di ombra. L'insieme e' bellissimo. Ho sempre visto questi paesagginei libri e ora essere in mezzo a tutto questo e; un bellissimosogno realizzato. Sulla strada un signore ci racconta che poco prima aveva visto una tigre attraversare la strada. Era la prima volta in tutta la vita.
Raggiungiamo un villaggiodove la gente ci guarda con curiosita' ed e' molto amichevole. I bambini che dalla scuola ci vengono incontro, indossano un maglioncino di colore rosso vivo che contrasta con il loro colore scuro della pelle. Molti altri sono seduti sul prato. E'tutto cosi' tranquillo e la vita' qui scorre cosi'lentamente. Dalla sommita' della strada arriviamo in un punto dove si ha una stupenda vista sulla vallata. Si sentono solo i rumori della natura e la vista si perde nella vastita' del paesaggio.
Monday 7 December 2009
MYSORE: UNA CITTA' DAI MILLE PROFUMI
Una breve puntata a Mysore, nel Sud dell'India, mi porta al grande mercato di frutta e verdura. Sembra di tornare indietro nel tempo, le varie bancarelle sono strapiene di vegetali, sono tutti sistemati con meticolosita'. Le cipolle trovano posto in enormi cesti, i cetrioli formano delle piramidi, le noci di cocco formano un muro insormontabile. E poi, quante banane! Non ne ho mai viste cosi' tante tutte insieme. Sono raccolte nei tipici caschi e fuori dal mercato, centinaia di essi sono appoggiati ai lati della strada. C'e' un grande via vai di gente, venditori, compratori, ragazzi che scaricano dai camion.
Un fresco odore arriva alle mie narici, rose, gelsomini e altri fiori di colore arancione e bianco, colorano un'ala del mercato. ALcune signore sono impegnate a creare delle decorazioni floreali. In altre bancarelle, dei coloranti dai colori molto vivaci formano dei coni variopinti e numerose bottigliette di vetro sono piene di oli naturali che emanano dei profumi eccezionali, bergamotto, sandalo, fiori di loto, rosa e tantissimi altri.
Uscendo dal mercato, mi trovo in una stradina e comincio a sentire degli schiamazzi di polli. Mi ritrovo nel mercato della carne che e' anche un mattatoio a cielo aperto. Vedo delle scene orribili. I polli sono tutti raccolti in strette gabbie e cestiche hanno un foro sulla sommita'. Ai polli viene tagliato il collo, ma non completamente, come hop sempre visto fare, e poi vengono gettati uno alla volta in un secchio e la' dentro, con il sangue che schizza, si dimenano violentemente. Intanto un altro signore e' impegnato a immergerli nell'acqua bollente, un altro li spenna. Un cumulo di polli e' pronto per essere tagliato e pulito dalle interiora. E una scena crudele. C'e' sangue dapertutto. I ragazzi sono a piedi nudi in mezzo a tutto questo.
Le teste dei montoni decapitati dopo l'uccisione vengono messe sul fuoco vivo e poi ripulite con l'acqua e vendute sau banchi dei macellai, situati la' accanto. Un uomo taglia i cranio di con un coltello e il cervello viene messo daparte in un cestino insieme a tutti gli altri. Tra i vari banchi in dei canali scorrono le acqua sporche derivanti dalla pulizia degli animali. Non sono in un filma dell'orrore.
Tuesday 1 December 2009
I 50 ANNI DI ESILIO DEL DALAI LAMA E DEI TIBETANI
Il primo ottobre 1949 Radio Benjing annunciò che “the People’s Liberation Army” doveva liberare tutti i territori cinesi, compreso il Tibet. Così dopo un anno 40000 truppe cinesi attaccarono la capitale della provincia orientale del Tibet e l’esercito tibetano costituito da solo 8000 soldati, dei quali la metà morì sul campo, non potette fare niente. Al Dalai Lama, che aveva solo quindici anni, fu richiesto di abbandonare Lhasa, la capitale dove risiedeva il governo, per Dromo, vicino al confine indiano. L’ufficio tibetano degli affari esteri disse: “Il Tibet è unito come un solo uomo dietro il Dalai Lama che ha preso i pieni poteri… Ci appelliamo al mondo per un intervento pacifico di fronte a questo chiaro caso di aggressione non provocata”.
Nel 1951 le truppe cinesi occuparono tutte le maggiori città, compresa Lhasa, e la Cina rifiutò ogni negoziazione proposta dal Dalai Lama. Mao Zedong cercò di imporre l’autorità cinese sul governo tibetano. Nel marzo del 1959 ci fu il sospetto forte di un’intenzione da parte dei cinesi che volessero uccidere il Dalai Lama con un sotterfugio. Così egli decise di fuggire in India, accompagnato dai suoi ministri, dove tuttora risiede. Ristabilì il governo in esilio e dichiarò pubblicamente: “Dovunque son, accompagnato dal mio governo il popolo tibetano ci riconoscerà come il governo del Tibet”. Nei mesi successivi migliaia di tibetani raggiunsero l’India, il Bhutan, il Sikkim. Numerose furono a quel tempo le manifestazioni di resistenza e solo tra marzo e ottobre del 1959 furono uccisi 87 mila membri della resistenza tibetana.
Tra il 1949 e il 1979 più di un milione di tibetani morirono torturati in prigione, in esecuzioni, uccisi durante combattimenti, morti per la fame, suicidati.
I Tibetani vengono arrestati e imprigionati per aver parlato con degli stranieri, o per aver cantato una canzone patriottica, per aver incollato sui muri dei poster, o per il possesso di un’autobiografia del Dalai Lama o di qualche video e audio cassette o per aver consigliato gli amici a vestirsi con gli abiti tipici tibetani durante il giorno nazionale cinese, o per aver partecipato a pacifiche manifestazioni.
Nonostante la Cina abbia firmato la convenzione contro la tortura nel 1968, essa viene spesso praticata nei confronti dei Tibetani. Vengono picchiati con ogni cosa disponibile, mazze di ferro, bastoni, mozziconi di sigaretta, ecc. le torture vengono usate per convincere i prigionieri a firmare le confessioni. I metodi di tortura sono innumerevoli, tra i quali, mutilazioni, l’uso dei cani da guardia che attaccano i prigionieri, l’uso di elettrodi da bestiame, soprattutto sulle donne, shock elettrici, bruciature da sigaretta.
Il governo cinese ha coltivato la politica dell’introduzione dei cinesi in Tibet. Al momento i cinesi hanno superato in numero i tibetani e se si continua così, i tibetani diventeranno una minoranza nel proprio Paese.
La situazione in Tibet è drammatica. La popolazione tibetana ha un tasso di analfabetismo del 55 per cento. La mancanza di educazione, che prima del 1959 veniva data soprattutto negli istituti monastici, comporta un livello di occupazione molto basso e a lavori poveri retribuiti molto male. L’urbanizzazione è aumentata come forma di progresso, sostiene la Cina. Le nuove città in Tibet sono delle isole insostenibili di privilegio e di forte disugualità, circondate dalla povertà rurale.
Sono state costruite numerose dighe per alimentare le grandi industrie della Cina. Tutto questo riduce l’acqua disponibile anche nei paesi del Sud-Est asiatico, l’India, Bangladesh, in quanto dalle montagne del Tibet, chiamato “il tetto del mondo”, nascono i dieci maggiori fiumi dell’Asia e le dighe ne riducono l’approvigionamento. La superficie forestale si è dimezzata negli ultimi 50 anni.
Mao Zedong era convinto che la religione fosse un veleno e che ritardasse il progresso di un Paese. La maggior parte dei siti religiosi e culturali sono stati distrutti. Degli oltre sei mila monasteri, dove risiedevano quasi sei cento mila monaci, presenti nel 1959, solo otto ne rimanevano nel 1976.
Attualmente i rifugiati tibetano sono oltre 120 mila, di cui 100 mila si trovano in India, 20 mila in Nepal e il resto in Bhutan. Qualcuno è riuscito ad a raggiungere l’Europa o l’America. Ma per loro è molto difficile perché non hanno un passaporto, né un governo riconosciuto che li possa aiutare.
Vivono concentrati in campi profughi di diverse dimensioni, hanno creato della scuole tibetane, dove viene data un’educazione e un insegnamento del tibetano, con la premessa di mantenere anche nelle nuove generazioni la cultura del Tibet. Sono stati costruiti numerosi monasteri, dove i monaci posso studiare buddismo e praticarlo.
Ormai siamo giunti alla terza generazione. Molti sono nati in India e la prima generazione è formata dagli anziani. Ancora oggi mille persone all’anno arrivano in India, dopo un viaggio tra le montagne tra Tibet e Nepal, che può durare anche oltre 30 giorni se fatto a piedi, e un periodo passato in Nepal prima dell’ottenimento dei vari permessi. Fino al marzo dell’anno scorso, mese in cui numerose manifestazioni furono organizzate contro i giochi olimpici in Cina, ne arrivavano il doppio.
Molte famiglie mandano solo i bambini per permettere loro di avere un’educazione, che quindi si trovano ad affrontare una vita da orfani, visto che non avranno la possibilità di vedere i genitori mai più.
Monday 30 November 2009
UNA STORIA DI CUORE ALLA CASA DEGLI ANZIANI
Appena arrivo alla casa degli anziani, il direttore tibetano mi presenta una signora italiana. Ha 74 anni ed è la fondatrice del centro. Aveva una cartoleria a Milano e iniziò a conoscere il mondo tibetano adottando un bambino a distanza. Arrivata alla pensione decise di vendere il negozio e di investire i suoi soldi nella costruzione del centro per anziani, che fù inaugurato dal Dalai Lama nel 1998, un edificio che ospita 40 anziani. Nel 2000 la cugina decise di finanziare la costruzione di un’altra ala con oltre venti posti letto. Questa è una storia di solidarietà che mi ha molto colpito. Ma non finisce qua. La signora si fa costruire una casa all’interno e nel 2004 si sposa con il direttore e da allora vivono insieme. Purtroppo il limite del visto la porta a tornare in Italia periodicamente, dove lei non ha più niente e dove lei non riuscirebbe più a vivere. Attualmente finanzia ancora il centro che ha fondato. E’ una signora di cuore che purtroppo ha problemi ad una gamba ed è costretta a sottoporsi a fisioterapia. I suoi vecchietti la amano per quanto lei dà a loro, la possibilità di avere un tetto dove vivere , del cibo, ma soprattutto la possibilità di non sentirsi soli, in un mondo che sempre più spesso li lascia abbandonati.
In ogni stanza trovano posto due anziani, ci sono anche delle coppie. Mi regalanoI sorrisi sinceri, mi salutano a mani giunte con il loro chinarsi in avanti, sono in quiete dopo una vita difficile passata da rifugiati, qualcuno tira fuori la lingua in segno di rispetto, come si usava fare in Tibet. Loro sono la prima generazione che dal Tibet scapparano per seguire il Dalai Lama nel suo esilio. La preghiera li accompagna ogni giorno. Si riuniscono per pregare insieme quattro ore al giorno e poi pregano anche in camera, nel cortile, ovunque. Qualcuno sta sulla sedia a rotelle perché non riesce più a camminare. Mi siedo vicino a loro e sento la loro sintonia con il mondo di cui ormai sembrano non più appartenere. Un vecchietto aiuta la donna delle pulizie a tagliare l’erba con la falce, tutto a mano, poco prima indossava un cappello da cowboy. Alcuni sembrano felici, altri sono spenti, altri soffrono. Non dimentichiamoci di loro.
Sunday 29 November 2009
LE OLIMPIADI AL CENTRO PER DISABILI DI BYLAKUPPE
Il centro per disabili di Bylakuppe celebra una giornata dedicata allo sport, con i ragazzi disabili protagonisti. Appena arrivo sono sorpreso da quanto il centro sia bello e nuovo. Molto ben tenuto e ricco di giardini con fiori, piante e prati. Tutto è in sintonia, i colori, gli spazi e le strutture. C’è un viavai di gente nel corridoio che porta al campo dove si giocheranno le gare. Un ragazzo disabile sulla sedia a rotelle si dimena quando mi vede, un’altra signora mi fa le feste. C’è anche un ragazzo dawn, un po’ paffutello, simpatico, mi chiede di fargli una foto e io lo accontento. La luce del sole si riflette sul pavimento chiaro in contrasto con il colore marrone dei mattoni della parete, il suo volto si illumina con una calda luce. Conosco un gruppo di italiani che fanno parte di un gruppo di Verona, che organizza eventi per la raccolta di fondi per il centro. Eleonora è l’organizzatrice, indossa un bellissimo vestito e con tutti loro inizia una giornata particolare.
Non tutti possono gareggiare. Alcuni sono sulla sedia a rotella, altri casi sono più gravi. Le accompagnatrici rimangono con loro ai bordi del campo e si prendono cura.
Dopo la cerimonia iniziale, nella quale viene accesa la torcia, i ragazzi si esibiscono in canti e balli e così, dopo questi momenti, sono pronti a gareggiare e a sfidarsi. Partecipano anche le persone dello staff, 100 m, 200 m, staffetta, corsa con il sacco, la presa della mela. Il pubblico si diverte e tifa per loro. Il verde, il giallo e il blu sono i colori delle tre squadre. I ragazzi amano le sfide e la loro voglia di vincere si vede dalle loro espressioni. Il pubblico acclama chi taglia il nastro per prima. Per alcuni servirebbe il photofinish. Alla fine viene proclamato il gruppo vincitore del torneo. Sono seduti sul prato e una bandiera del Tibet sventola sulle loro teste, libera di muoversi e di mostrare i propri colori.
Dopo pranzo i ragazzi si riuniscono nella sala tv. La stanza è buia e la luce passa solo dalla porta principale. Un ragazzino disabile è seduto sulla propria sedia a rotelle, delle fasce lo stringono alla sedia e un nastro tiene legata la sua mano al poggia braccio sinistro. Si muove in continuazione, si stende e china la sua testolina verso dietro, ma i suoi occhi rimangono chiusi, non può vedere la realtà come la vediamo noi. Il suo mondo è qualcosa che noi non potremmo mai osservare.
Friday 27 November 2009
I MONASTERI DI BYLAKUPPE
Oggi dedico la mia giornata alla vita spirituale nei monasteri della zona. Entro nel monastero Sera Mei che ospita insieme all’altro monastero attaccato Sera Jhe circa 5 mila monaci buddisti. Entro attraverso il cancello principale e un po’ disorientato dalla vastità della struttura, cerco di addentrarmi dirigendomi alla cieca verso un enorme cortile e appena giro l’angolo, alla mia vista si presentano centinaia di monaci riuniti in gruppi. Chi è seduto, altri in piedi e assisto a qualcosa di molto strano. In ogni gruppo due o tre monaci discutono animatamente e sembrano quasi che vogliano bisticciare, sbattono le mani, quasi in segno di sfida, e gli altri intorno che assistono alla finta battaglia. Non capisco cosa succeda e purtroppo i monaci non parlano inglese e non riesco a farmi spiegare cosa stiano facendo.
E’ giunto il momento del pranzo e i monaci si riuniscono in una sala, sistemandosi, seduti su dei tappeti, in file parallele. Viene distribuito del pane tibetano, dali, a base di lenticchie, e una banana ciascuno. Durante il pranzo regna il silenzio. All’ingresso centinaia di paia di scarpe sono parcheggiate, formando un intrinseco mosaico.
Mi dirigo verso il famoso Golden Temple. All’interno tre statue alte 18 metri, completamente verniciate di oro, troneggiano nella sala enorme. Quella a sinistra appresenta il Buddha Amitayus, il Buddha della lunga vita, al centro il Buddha Shakyamuni, il fondatore del buddismo, e a sinistra il Guru Padmasambhava. Due draghi si attorcigliano intorno alle lunghe colonne colorate di rosso e numerosi dipinti decorano le pareti. Fantastico!
Nel tempio affianco un centinaio di monaci sono riuniti in preghiera. Suonano il tamburo, le trombe e i lunghi strumenti a fiato tipici tibetani. I loro canti preghiera mi ipnotizzano e mi fanno entrare in un’altra dimensione. Sfogliano i loro libri scritti in tibetano, lunghi e stretti, dai fogli sciolti con il profilo colorato di rosso. Bevono del the e si muovono ondeggiando avanti e dietro. E quando tutti gli strumenti e le voci incrociano i loro suoni, una forte energia si libera e sembra entrare dentro di me. Bisogna solo provarlo.
Thursday 26 November 2009
GLI ASILI DI BYLAKUPPE
Dopo i vari sbattimenti per la richiesta dei permessi che non ho ancora risolto, decido di rilassarmi visitando 2 asili del campo profughi tibetano di Bylakuppe.
I bambini sono seduti lungo il perimetro della stanza e l’insegnante al centro impartisce la lezione. I bambini poi, si chiudono in un cerchio e uno alla volta, si esibiscono per gli altri con un canto. Intanto altri bambini fuori, forse i più piccoli, già mangiano, con la loro scodella di metallo, una porzione di riso con una salsa di vegetali e carne. Sono appoggiati con la schiena al muro e mi guardano dal basso come se fossi la statua della libertà.
In un altro asilo le due classi con 69 bambini, dai 2 ai 6 anni, sono impegnate a ritagliare da fogli di giornale delle forme dalle quali i bambini imparano a costruire degli aerei, dei cappelli o quant’altro di fantasioso e colorato si possa fare con un pezzo di carta. Una bambina, che è fuori sulla veranda, appoggiata con le spalle al muro, appena mi vede, comincia a piangere e non smette. Sembra che abbia visto un mostro, è terrorizzata. Allora mi allontano dalla sua vista e si tranquillizza, ma prima di andare via mi rivede di nuovo da lontano e ricomincia. Una signora anziana tibetana si prende cura di lei, ma non c’è niente da fare. Lascio l’asilo dietro i suoi pianti e la gioia di vedere tutti questi bambini che studiano, stanno insieme, e la loro l’innocenza che traspare dai loro volti, mi fa dimenticare per un attimo tutto quello che di brutto, invece, ogni giorno vedo con i miei occhi.
Tuesday 24 November 2009
IL TCV, TIBETAN CHILDREN VILLAGE, A BYLAKUPPE
Dopo un viaggio su un bus Volvo molto confortevole, durante il quale ogni 5 minuti pregavo che arrivassi a destinazione, visto come guidava il conducente, eccomi al campo profughi tibetano più grande dell’India a Bylakuppe, dove vivono 20000 tibetani. La prima tappa è il TCV, la scuola tibetana dove studiano più di 1500 studenti. La scuola costa poco più di 200 euro all’anno. La maggior parte dei ragazzi hanno uno sponsor che paga la retta, per i pochi che ce l’hanno il dipartimento dell’educazione li sostiene se provengono da famiglie povere. I ragazzi dormono e mangiano all’interno del “villaggio”. Gli studenti sono tutti nelle loro classi. Si avvicina la data degli esami prima delle vacanze invernali. Gli studenti che hanno i genitori in Tibet o troppo lontani rimarranno a scuola. I ragazzi che sono scappati dal Tibet non possono ritornare. Se le autorità cinesi vengono a scoprire che il proprio figlio è fuggito, costringono la famiglia a far ritornare il bambino entro una certa data e se ciò non avviene rischiano di andare in prigione o di perdere il lavoro o l’assistenza, quel poco che hanno. Questi bambini vivono, in pratica, da orfani e non si può far niente di più che dare loro un’educazione e la possibilità di avere un futuro migliore che nel proprio Paese, dove di solito i Tibetani svolgono lavori umili e sottopagati rispetto ai Cinesi. E una gioia vederli tutti insieme uniti con lo stesso spirito di unità e di comunità.
Vi lascio con una poesia scritta da una studentessa della sesta classe (Dolma Yangzom):
I want to be a bird
But I have not wings.
I want to be a doctor
But I am not intelligent.
I want to be a teacher
But I am a student.
I want to help poor people
But I am poor too.
I want to meet my parents
But they are very far from me.
I want to go back to our country
But we have no FREEDOM!
…………………………………
Voglio essere un uccello
Ma non ho le ali
Voglio essere un dottore
Ma non sono intelligente
Voglio essere un insegnante
Ma sono uno studente.
Voglio aiutare le persone povere
Ma sono anch’io povera.
Voglio incontrare i miei genitori
Ma sono molto lontani da me.
Voglio tornare nel nostro Paese
Ma non abbiamo la LIBERTA’!
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