Tuesday 22 December 2009
UN LUNGO CAMMINO PER RAGGIUNGERE IL CAMPO PROFUGHI TIBETANO
Un lungo cammino mi aspetta oggi per raggiungere il campo profughi tibetano. C’è ancora lo sciopero nazionale e non ho altra scelta che affidarmi alle mie gambe.
Di primo mattino, appena lasciato l’albergo, incontro il mio primo funerale nepalese. Un corteo accompagna il corpo avvolto da un vestito colorato e trasportato su una specie di barella sulle spalle di alcuni familiari che ha turno si scambiano il posto, visto che dovranno camminare 4 km prima di raggiungere le rive del fiume dove il corpo verrà cremato. Molti ragazzi giocano per strada a cricket sulla strada enorme che porta verso il centro della città. Raggiungo la parte più antica della città. Sembra una domenica europea. Gli anziani sono seduti e chiacchierano, altri leggono il giornale, poche bancarelle ambulanti vendono la frutta o le noccioline americane. Noto molti bambini poveri. I loro vestiti sono strappati e sporchi, ma loro non si preoccupano di quello che hanno o indossano. Pensano solo a divertirsi per strada. Un bambino piange a squarciagola seduto sul marciapiede tra le gambe della mamma. Cerco di fargli una foto per farlo distrarre e divertire, non sembra funzionare, ma dopo un po’ con l’aiuto della mamma riusciamo a sollevargli la testa rannicchiata tra le sue gambe e noto un suo leggero sorriso appena mi vede.
Sto per uscire dalla città e il panorama cambia. La strada corre lungo un fiume e in lontananza si nota la magnifica catena dell’Annapurna che, con i suoi oltre 8 mila metri di altezza, domina su tutto. Un signore seduto su uno scalino è impegnato a scrivere su un quaderno e mi dice che non ha soldi e me lo ripete ancora e ancora.
Mentra camminavo vicino la riva del fiume in posizione più bassa rispetto alla strada, da lontano, sento delle voci di bambini: hello, hello. Si rivolgono a me. Dalla strada mi vedono e mi raggiungono. Vogliono della cioccolata ma io purtroppo non ho niente. Mi chiedono di fargli una foto e si posizionano accanto ad un palo con un segnale stradale, mentre io sono più in basso. Molti bambini lungo la strada fanno lo stesso. Sono bambini che purtroppo non hanno tanto e cercano di prendere qualcosa dai pochi turisti che vedono sulla strada. E mi meraviglia come parlino inglese.
Arrivo finalmente al campo tibetano. Camminando vedo un signore nel cortile della sua casa e un ragazzo seduto di fronte alla porta d’ingresso. Mi invita a prendere un the a casa sua. E’ arrivato in Nepal nel 1959 e quel ragazzo è suo figlio. Ha dei problemi mentali e sua moglie è morta venti anni fa. Una situazione triste, ma lui è così sorridente e il suo animo sprizza di gioia. Vende oggetti di artigianato tibetano e talvolta il pane fatto da lui. Me lo fa assaggiare servendomelo insieme al the. E’ così gustoso e gli faccio i complimenti. Mi spiega che il Nepal e i nepalesi sono sempre stati gentili con i tibetani, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate e peggiorate, per colpa delle pressioni del governo cinese. E’ difficile lavorare.
Una signora che è affacciata dalla sua porta si lamenta di come i turisti siano pochi e non riesce vendere i suoi prodotti di artigianato. Si spendono soldi per andare a Pokhara, tanto tempo, e spesso non si vende niente. E’ una cruda realtà, ma tante persone vivono con poco e la loro sopravvivenza è legata alla vendita di questi prodotti.
Molti giovani hanno lasciato il campo per andare in altri Paesi e ormai le nuove coppie non fanno più tanti figli come prima. La popolazione del campo rispetto ai primi anni si è quasi dimezzata, mi spiega una signora seduta davanti al suo negozio di souvenir.
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