Monday 28 September 2009
VISITA AL THIKSEY GOMPA
Oggi mi dedico alla visita del monastero di Thiksey. Prendo l’autobus alle 10.00. Sono il solo turista in mezzo a indiani e tibetani. Scorre anche una musica indiana ad alto volume che rende il viaggio più piacevole. L’autobus si ferma spesso al fischio delle persone che vogliono scendere o all’alzata di mano di quelle che vogliono salire a bordo. Immaginate quante volte si ferma. Ma la situazione è simpatica e mi sento molto a mio agio, nonostante a volte i ragazzi mi guardano come se fossi chissà chi. Ma non fa niente. Arrivo ai piedi del monastero dopo 45 minuti. E’ praticamente un villaggio all’interno del monastero. Si sviluppa tutto su una collina, ai suoi piedi tante case prettamente di colore bianco o marrone dove vivono i monaci. Sulla sommità, domina il monastero. Ci sono due sale principali. In una è presente una statua del Buddha alta 14 metri, con un copricapo incastonato di numerosi gioielli, nella seconda c’è un’atmosfera molto più spirituale e la luce è molto scarsa. Dei raggi di sole penetrano nella sala dalle finestre presenti sul tetto e illuminano dei stendarsi dai colori vivaci. Regna il silenzio.Tra le stradine del villaggio noto tanti piccoli monaci, alcuni bevono da una di scodella una sorta di zuppa, altri giocano, altri camminano sulle ripide scalinate. Stavo sul tetto di un’edificio e all’improvviso un monaco bambino corre verso di me e và a suonare una sorta di piatto, battendolo con un’asta di metallo. Forse è l’ora del pranzo.
Saturday 26 September 2009
IL LAGO PONSGONG
Sveglia alle 4.30. Oggi dedico la mia giornata alla visita del lago Pangong. 5 ore di jeep per poter arrivare in questo posto splendido. Il panorama lungo il tragitto è stupendo. Sembra di stare in un deserto in montagna. Nessun albero, nessun arbusto, solo piccole piante erbaceee che crescono a ciuffo, e poi tanta roccia, dai colori diversissimi, gli stradi sedimentari che risaltano, a volta sembra prendere delle forme e delle inclinazioni strane. Per poter arrivare al lago bisogna avere un permesso speciale in quanto si trova in una zona ad accesso limitato. Lungo il tragitto incontro tante caserme militari, posti di controllo, sembra quasi di stare all’interno di una caserma per quanti militari girano da queste parti. Ad un certo punto incontro a lato della strada due tende di nomadi, un branco di yak, le mucche himalayane, e due signore che le mungevano in uno scenario da non credere. Proseguendo noto una marmotta in mezzo alla vallata accanto ad un piccolo laghetto dove una mucca si sta abbeverando. La marmotta rimane lì ferma, nonostante mi avvicino a lei. Sembra fidarsi e non scappa, addirirrura si lascia toccare. Non credo ai miei occhi. E poi ancora incontro delle pecore himalayane che salivano sul versante roccioso e poi anche una volpe. Insomma, mi trovo davanti ad un vero spettacolo della natura. A metà tragitto si attraverso il terzo passo più alto al monto a altre 5300 s.l.m. L’aria è molto rarefatta, faccio fatica a respirare, ma l’idea di stare a quell’altezza mi eccita. Anche qua c’è un presidio militare che offre assistenza sanitaria gratuita, servizi sanitari e anche the caldo gratis. Il the si trova in un contenitore termico, i bicchieri sono di metallo e una volta usati vanno lavati con dell’acqua e messi così a disposizione degli altri che vengono dopo.
Finalmente dopo più di 100 km percorsi in stradine di montagna, mi trovo davanti al paradiso terrestre, un lago il cui colora vira dal celeste chiaro al blu intenso, circondato da montagne di colore diverso. Anche qua non manca una base militare.
Una giornata lunga, ma piena di emozioni. Anche oggi il mal d’altitudine ha colpito.
Finalmente dopo più di 100 km percorsi in stradine di montagna, mi trovo davanti al paradiso terrestre, un lago il cui colora vira dal celeste chiaro al blu intenso, circondato da montagne di colore diverso. Anche qua non manca una base militare.
Una giornata lunga, ma piena di emozioni. Anche oggi il mal d’altitudine ha colpito.
Thursday 24 September 2009
VISITA AL TCV DI LEH
Alle 9 mi vengono a prendere con una jeep dalla guest house dove alloggio. Arriviamo al TCV, Tibetan Children Village, e mi accompagnano nell’ufficio del direttore. Mi accomodo al fianco della sua scrivania e comincio così a spigargli l’intento del mio lavoro di documentazione sulla situazione del popolo tibetano in India e Nepal. Mi spiega come il settlement che si trova annesso al TCV sia di natura principalmente agricolo. Ogni famiglia possiede un pezzo di terra da poter coltivare che è stato concesso dal governo indiano per il loro sostentamento. Ci sono però due problemi di difficile soluzione, l’irrigazione e la fertilità del terreno. L’irrigazione è molto difficile da praticare. E’ presente un canale dal quale attingere l’acqua, ma il livello dell’acqua è molto basso, tanto che la reale disponibilità di acqua è molto bassa. Inoltre i terreni sono poveri, hanno cioè una fertilità bassa, e quindi di conseguenza una produttività misera. Si effettuano solo concimazioni organiche con escrementi animali e umani, per la salvaguardia di un ambiente molto delicato dal punto di vista ambientale. Sui terreni si coltiva principalmente erba che viene utilizzata per l’alimentazione degli animali allevati. Nel TCV ci sono oltre 2000 bambini. Il sistema di educazione usato è diverso dal sistema tradizione tibetano fondato sulla religione buddista. Un sistema moderno basato sull’insegnamento di materie attuali. Come l’inglese, l’informatica, la chimica, le scienze, la comunicazione sociale , Hindi, scienze, lo sport, la danza. Prima del 1959, l’educazione in Tibet era concentrata sulle sacre scritture tibetane e veniva effettuata dai monaci. In Tibet non ci sono grandi scuole come quelle presenti in India. Nei villaggi i bambini vengono venivano portati dai monaci che davano l’educazione: ogni monaco aveva un bambino da educare. Solo per i monaci c’erano grandi università con anche fino a 7000 monaci.
Nel TCV i bambini inizano la scuola all’età di 3 anni. All’età di 6 anni i bambini iniziano la prima classe fino alla decima classe. Al termine di essa tutti i ragazzi devono sostenere l’esame CBSE. Per passare l’esame si deve ottenere un punteggio del 40% per poter accedere alla scuola preuniversitaria per due anni. Durante la decima classe i ragazzi devono decidere il campo dove si vogliono specializzare. Per esempio, chi vuole specializzarsi nel ramo scientifico va a Dharmsala, A Copalbur vanno i ragazzi interessati in scienze politiche, arte, economia, psicologia, inglese, a 30 km da Dharmsala. Studenti comuni vanno al Sud. Fino alla classe n. 12 dopo la quale devono sostenere un altro esame con un punteggio minimo del 60% per accedere alle università indiane a Delhi, Mombay, Bangalore, Kalcota. I ragazzi non molto intelligenti, non tanto bravi a scuola, non capaci ad accedere alle università, di solito vanno al Vocation Training Centre, una scuola professionale, dove si insegnano dei mestieri quali, il carpentiere, l’elettricista e altro. Circa il 50-60 % va all’Università, la restante parte rimane nei campi.
Dopo la conversazione con il direttore comincio il tour nel TCV. Mi accompagna un signore che vive là da tre anni e che ha imparato l’inglese in questo periodo. I 2000 studenti vengono ospitati in sei ostelli. Gli altri studenti che non vivono negli ostelli, vengono alloggiati nelle home, ognuna delle quali ha quattro stanze, con quattro letti ognuna. Tutti i ragazzi che si trovano in questi alloggi non hanno una famiglia, gli altri vivono nelle case del settlement insieme ai loro genitori o altri parenti.
Ci sono 150 insegnanti nella scuola, ai quali è affidata l’educazione dei ragazzi.
E’ presente una biblioteca aperta nel 1970, con circa dieci mila libri presenti e altri sette mila fuori, o perché smarriti dagli studenti o perchè ormai vecchi e in disuso, in lingua inglese e tibetano.
All’interno del TCV è presente anche un laboratorio artigianale, dove viene insegnato agli studenti come fare le uniformi per la scuola, il taglio, il cucito, e lo stiramento, con lezione teoriche, ma soprattutto con la pratica. C’è un laboratorio di computer, uno per gli esperimenti scientifici, un grande campo di calcio, un altro per il basket, un laboratorio per la visione di film e documentari, un grande stupa. C’è anche un Vocational Centre dove si costruiscono oggetti di metallo, come cancelli, porte e altro.
Affianco al TCV fuori dalle mura è presente un monastero e una casa per gli anziani che ospita 60 persone. Domani si ritorna al TCV.
Nel TCV i bambini inizano la scuola all’età di 3 anni. All’età di 6 anni i bambini iniziano la prima classe fino alla decima classe. Al termine di essa tutti i ragazzi devono sostenere l’esame CBSE. Per passare l’esame si deve ottenere un punteggio del 40% per poter accedere alla scuola preuniversitaria per due anni. Durante la decima classe i ragazzi devono decidere il campo dove si vogliono specializzare. Per esempio, chi vuole specializzarsi nel ramo scientifico va a Dharmsala, A Copalbur vanno i ragazzi interessati in scienze politiche, arte, economia, psicologia, inglese, a 30 km da Dharmsala. Studenti comuni vanno al Sud. Fino alla classe n. 12 dopo la quale devono sostenere un altro esame con un punteggio minimo del 60% per accedere alle università indiane a Delhi, Mombay, Bangalore, Kalcota. I ragazzi non molto intelligenti, non tanto bravi a scuola, non capaci ad accedere alle università, di solito vanno al Vocation Training Centre, una scuola professionale, dove si insegnano dei mestieri quali, il carpentiere, l’elettricista e altro. Circa il 50-60 % va all’Università, la restante parte rimane nei campi.
Dopo la conversazione con il direttore comincio il tour nel TCV. Mi accompagna un signore che vive là da tre anni e che ha imparato l’inglese in questo periodo. I 2000 studenti vengono ospitati in sei ostelli. Gli altri studenti che non vivono negli ostelli, vengono alloggiati nelle home, ognuna delle quali ha quattro stanze, con quattro letti ognuna. Tutti i ragazzi che si trovano in questi alloggi non hanno una famiglia, gli altri vivono nelle case del settlement insieme ai loro genitori o altri parenti.
Ci sono 150 insegnanti nella scuola, ai quali è affidata l’educazione dei ragazzi.
E’ presente una biblioteca aperta nel 1970, con circa dieci mila libri presenti e altri sette mila fuori, o perché smarriti dagli studenti o perchè ormai vecchi e in disuso, in lingua inglese e tibetano.
All’interno del TCV è presente anche un laboratorio artigianale, dove viene insegnato agli studenti come fare le uniformi per la scuola, il taglio, il cucito, e lo stiramento, con lezione teoriche, ma soprattutto con la pratica. C’è un laboratorio di computer, uno per gli esperimenti scientifici, un grande campo di calcio, un altro per il basket, un laboratorio per la visione di film e documentari, un grande stupa. C’è anche un Vocational Centre dove si costruiscono oggetti di metallo, come cancelli, porte e altro.
Affianco al TCV fuori dalle mura è presente un monastero e una casa per gli anziani che ospita 60 persone. Domani si ritorna al TCV.
Wednesday 23 September 2009
LEH: UNA MERAVIGLIA TRA LE MONTAGNE
Dopo 24 ore di completo riposo per l’acclimatamento, finalmente oggi inizio a visitare la città di Leh, alla scoperta dei suoi tesori. L’acclimatamento non è stato facile. Un giorno intero senza nessuna attività fisica, a parte quella di salire le scale per andare in camera, e già con questa sembrava di fare un’arrampicata. E poi molta acqua e the. La notte è stata terribile, dopo 3 ore di sonno sveglia e poi un dormiveglia fino a questa mattina. Non riuscivo ad alzarmi dal letto. Mamma mia! Poi mi sono fatto forza e sono andato a fare colazione. La testa mi girava e non stavo ancora per niente bene. Ma dopo 3 toast e un omelette e un’aspirina mi sono ripreso.
Inizio a scendere a piedi con molta cauta verso il centro della città. La mia attenzione è attirata da un mercato all’aperto tibetano. Mi fermo a dare un’occhiata, tanti prodotti artigianali, soprattutto collane e bracciali. In questo momento penso quanto sarebbero tanto piaciuti a Lucia. Poi mi fermo ad una bancarella e chiedo alle due ragazze che erano là se sono tibetane e loro me lo confermano. Allora inizia una breve chiacchierata con loro. Mi dicono che, di solito, si fermano a Leh per i 3 mesi estivi e poi vanno via. Una di loro mi dice che fra 3 giorni andrà in vacanza a Delhi per dieci giorni e poi si sposta verso la regione del Goa a sud-ovest dell’India. Naturalmente lo fa per business. Leh è piena di turisti durante l’estate, invece Goa ha un turismo che dura tutto l’anno. La merce che vendono è fatta a mano in Tibet, la quale viene, dapprima, portata in Nepal e successivamente in India. Una di loro mi dice che ha tutta la sua famiglia in Tibet e che si sentono solo per telefono. Entrambe hanno attraversato le montagne per arrivare in Nepal, impiegandoci 30 giorni e poi si sono spostate in India con il bus. Immaginate che fatica camminare per tutti quei giorni. Solo la voglia di una vita migliore può spingere e dare la forza a tanti tibetani di compiere quel lungo cammino.
Il mio tour continua. Vado in giro alla cieca. Mi giro intorno e comincio a salire per le strette stradine. E’ tutto così autentico. Le vacche vanno in giro indisturbate e indifferenti dai passanti. La fognatura è a cielo aperto e l’odore non è dei migliori. Ma la vista dell’architettura della città e delle persone che vi abitano e poi sullo sfondo e versanti delle montagne marroni senza nessuna vegetazione e in lontananza l’Himalaia con le cime innevate. Cosa devo dire di più? Sembro un bambino alla vista di tutto questo. Molte strade sono sabbiose e le folate di vento alzano tanta polvere, tanto che a volte mi sembra di stare in mezzo ad un deserto. Girano tanti cani randagi. E alcuni mi abbaiano e io naturalmente me la do a gambe. I ragazzini sono incuriositi dalla mia macchina fotografica. Ne incontrò tre, uno dei quali stava facendo la pipì in mezzo alla strada. Si è abbassato i pantaloni e ha tirato fuori il pivellino. Ho fatto un po’ di foto e loro erano molto divertiti. Vogliono vedere le foto ogni volta che scatto e si mettono in posa. Penso che non hanno più 5-6 anni. Mi rialzo e cominciano a giocare con i lacci del mio zaino. La situazione è così simpatica. Vado ancora più su e mi trovo nella parte più alta di Leh. Il paesaggio è molto brullo. Tanta spazzatura ricopre il terreno marrone. I cani si appisolano addosso ai muretti a secco . E le case quassù sono molto piccole e isolate l’una dall’altra. Vedo una signora, con i tipici vestiti che sembrano più tanti stracci sistemati l’uno sull’altro, con le mani dentro un bidone, le scuote e non capisco cosa stia facendo. Poi tira fuori un contenitore e capisco che sta prendendo dell’acqua. La carica sulle sue spalle, sembra molto pesante, si incammina in discesa, ad un certo punto si ferma e si riposa per un attimo, e poi la vedo scalare una salita rapidissima, vorrei aiutarla, ma capisco che quello è il suo lavoro giornaliero. Porta l’acqua a casa. Scompare dalla mia vista come un fantasma. Ritorno verso il centro di Leh e là incontro altri mercati di prodotti tibetani, molti sono anche i negozi e si notano gli adesivi “Tibet free”. Domani vado a visitare il Ladack TCV, cioè un centro educazionale tibetano che si trova a 9 km da Leh. A presto.
Inizio a scendere a piedi con molta cauta verso il centro della città. La mia attenzione è attirata da un mercato all’aperto tibetano. Mi fermo a dare un’occhiata, tanti prodotti artigianali, soprattutto collane e bracciali. In questo momento penso quanto sarebbero tanto piaciuti a Lucia. Poi mi fermo ad una bancarella e chiedo alle due ragazze che erano là se sono tibetane e loro me lo confermano. Allora inizia una breve chiacchierata con loro. Mi dicono che, di solito, si fermano a Leh per i 3 mesi estivi e poi vanno via. Una di loro mi dice che fra 3 giorni andrà in vacanza a Delhi per dieci giorni e poi si sposta verso la regione del Goa a sud-ovest dell’India. Naturalmente lo fa per business. Leh è piena di turisti durante l’estate, invece Goa ha un turismo che dura tutto l’anno. La merce che vendono è fatta a mano in Tibet, la quale viene, dapprima, portata in Nepal e successivamente in India. Una di loro mi dice che ha tutta la sua famiglia in Tibet e che si sentono solo per telefono. Entrambe hanno attraversato le montagne per arrivare in Nepal, impiegandoci 30 giorni e poi si sono spostate in India con il bus. Immaginate che fatica camminare per tutti quei giorni. Solo la voglia di una vita migliore può spingere e dare la forza a tanti tibetani di compiere quel lungo cammino.
Il mio tour continua. Vado in giro alla cieca. Mi giro intorno e comincio a salire per le strette stradine. E’ tutto così autentico. Le vacche vanno in giro indisturbate e indifferenti dai passanti. La fognatura è a cielo aperto e l’odore non è dei migliori. Ma la vista dell’architettura della città e delle persone che vi abitano e poi sullo sfondo e versanti delle montagne marroni senza nessuna vegetazione e in lontananza l’Himalaia con le cime innevate. Cosa devo dire di più? Sembro un bambino alla vista di tutto questo. Molte strade sono sabbiose e le folate di vento alzano tanta polvere, tanto che a volte mi sembra di stare in mezzo ad un deserto. Girano tanti cani randagi. E alcuni mi abbaiano e io naturalmente me la do a gambe. I ragazzini sono incuriositi dalla mia macchina fotografica. Ne incontrò tre, uno dei quali stava facendo la pipì in mezzo alla strada. Si è abbassato i pantaloni e ha tirato fuori il pivellino. Ho fatto un po’ di foto e loro erano molto divertiti. Vogliono vedere le foto ogni volta che scatto e si mettono in posa. Penso che non hanno più 5-6 anni. Mi rialzo e cominciano a giocare con i lacci del mio zaino. La situazione è così simpatica. Vado ancora più su e mi trovo nella parte più alta di Leh. Il paesaggio è molto brullo. Tanta spazzatura ricopre il terreno marrone. I cani si appisolano addosso ai muretti a secco . E le case quassù sono molto piccole e isolate l’una dall’altra. Vedo una signora, con i tipici vestiti che sembrano più tanti stracci sistemati l’uno sull’altro, con le mani dentro un bidone, le scuote e non capisco cosa stia facendo. Poi tira fuori un contenitore e capisco che sta prendendo dell’acqua. La carica sulle sue spalle, sembra molto pesante, si incammina in discesa, ad un certo punto si ferma e si riposa per un attimo, e poi la vedo scalare una salita rapidissima, vorrei aiutarla, ma capisco che quello è il suo lavoro giornaliero. Porta l’acqua a casa. Scompare dalla mia vista come un fantasma. Ritorno verso il centro di Leh e là incontro altri mercati di prodotti tibetani, molti sono anche i negozi e si notano gli adesivi “Tibet free”. Domani vado a visitare il Ladack TCV, cioè un centro educazionale tibetano che si trova a 9 km da Leh. A presto.
Tuesday 22 September 2009
ARRIVO A LEH
Sull’aereo per Delhi ad un certo punto dal finestrino scompaiono le nuvole e la vista diventa spettacolare. Ghiacciai e nevi perenni ricoprono le cime delle alte montagne dell’Himalaya. Fantastico! Sembra di vivere una fiaba. Il colore delle cime scure contrasta il colore bianco delle nevi. Avvicinandosi a Leh, pian piano i ghiacciai lasciano spazio ai versanti brulli di colore grigio marrone. Appena uscito dall’aereo un senso strano di stanchezza invade il mio corpo. Colpa dell’altitudine. Mi trovo a 3500 m s.l.m.. ho bisogno di un paio di giorni di acclimatamento. La guesthouse che ho scelto è un posto splendido, si respira un’atmosfera molto serena e familiare, con una bellissima vista della catena montuosa. Delle donnine di Leh, che hanno tratti intermedi tra quelli indiani, cinesi e pakistani, trovandosi vicino al loro confine., puliscono e preparano le colazioni servite all’aperto in una giornata splendida, ottima per rilassarsi e godersi questo mio primo giorno in Ladack.
On the plane from Delhi, in few minutes the clouds disappeare and the view becomes spectacular. Glaciers and snow cover the high Himalaya mountains. Fantastic! Close to Leh, the glaciers leave space to the bare slopes of gray and brown color. When I go out from the plane, I have a strong feeling of tiredness. This is mal of altitude. I am at 3500 m. I need a couple of days of acclimation. The guesthouse which i choosed is a beautiful place, you can breath a peacefull atmosphere, with a fantastic view on the mountains. I can see some women from Leh, who look between Indian, Chinese and Pakistanese people because of nearness of their borders, clean and make breakfast for the guests outdoor during a sunshine day, which is very good to rest in my first day in Ladack.
On the plane from Delhi, in few minutes the clouds disappeare and the view becomes spectacular. Glaciers and snow cover the high Himalaya mountains. Fantastic! Close to Leh, the glaciers leave space to the bare slopes of gray and brown color. When I go out from the plane, I have a strong feeling of tiredness. This is mal of altitude. I am at 3500 m. I need a couple of days of acclimation. The guesthouse which i choosed is a beautiful place, you can breath a peacefull atmosphere, with a fantastic view on the mountains. I can see some women from Leh, who look between Indian, Chinese and Pakistanese people because of nearness of their borders, clean and make breakfast for the guests outdoor during a sunshine day, which is very good to rest in my first day in Ladack.
IL QUARTIERE TIBETANO A DELHI
Ieri ho dedicato la mia giornata alla visita del quartiere tibetano a Delhi. Si trova lungo il fiume. Appena entrato sembrava di stare in un'altra città, non a Delhi, l’atmosfera era diversa. Tutto molto più tranquillo. Mi sono trovato sulla strada principale e subito ho notato i primi monaci tibetani con la loro classica toga colorata. Le bancarelle sulla sinistra con tanti oggetti esposti: collane, vestiti, cd musicali. Mi fermo a bare qualcosa per rinfrescarmi dalla calda giornata. Giungo alla fine della strada e mi trovo in un parco pubblico dove alcuni ragazzi indiani dormivano sulle panchine, ma la cosa che più mi salta all’occhio sono le bandiere delle preghiere tibetane, così colorate. E’ il mio primo contatto con loro, ho visto tante foto, ne ho sentito tanto parlare, mi sento emozionato. Le osservo, scatto un po’ di foto, ma mi sento così preso, così catturato da quelle frasi che vi sono impresse sopra e che non riesco a decifrare. Vedo un monaco con 2 ragazze e comincio a parlare, ma il monaco non parla inglese, le ragazze si. Allora loro si offrono di farmi da interprete. Il monaco, arrivato in India nel 1992, ha trascorso i primi anni al Sud e poi si è spostato a Delhi. Le ragazze mi raccontano come hanno attraversato le montagne a piedi dat Tibet per arrivare in Nepal e da lì hanno raggiunto l’India con l’autobus. Il monaco mi dice che a Delhi ci sono più di duemila tibetani. Essi , solitamente, arrivano a Delhi e poi si spostano nel resto del Paese, chi a Nord e chi a Sud verso Bangalore, dove sono presenti nove settlement che ospitano rifugiati tibetani. Comincia per me questo viaggio di documentazione che porterà per quasi 4 mesi in giro a visitare i TCV, centri scolastici, dove i bambini vengono educati, i campi profughi, le case degli anziani, un reportage che mi porterà a capire in profondità la difficile realtà del popolo tibetano, costretto a fuggire dal proprio Paese, a causa dell’invasione cinese.
Continuo il mio giro, torno indietro e mi addentro in stradine molto strette e buie. Ogni casa è contrassegnata da un numero del blocco e da quello della casa. C’è un piccolo ristorante dove dei ragazzi giocano ad uno strano gioco da tavolo. Entro a vedere un centro di educazione e una ragazza mi accompagna sulle rampe delle scale che giungono fino al terzo piano dove si trova una stanza adibita a tempio. Tutti gli ambienti sono molto scuri, poca luce, ma anche pochi colori. Là vivono dieci monaci.
Nella piazza principale ci sono altri due templi Buddisti, un bambino giocava con il padre con i palloncini gonfiabili e la scena è molto tenera e divertente. Incontro poi un tibetano un po’ pazzo, che poi scopro che è un alcolizzato, che comincia a parlare velocemente in un inglese quasi incomprensibile e mi spiega tutto sui templi. Lo incontrerò altre due volte Incontro anche dei mendicanti che chiedono l’elemosina. Vivono nelle baracche che si trovano dietro il complesso sulla riva del fiume.
A pranzo entro in un ristorante e, sedendomi, vedo una signora ed un monaco che avevo visto in precedenza in strada, li saluto e loro mi invitano a sedermi con loro . Scopro che si occupano di progetti, soprattutto in Nepal, riguardo ai rifugiati tibetani. Trascorriamo più di un’ora e parliamo della situazione tibetana. I tibetani non hanno un passaporto e ogni volta che devono uscire dall’India hanno bisogno di un permesso speciale. I confini tra il Tibet e il Nepal, dice il monaco, sono più strettamente controllati negli ultimi due anni per un volere del dei governi del Nepal e della Cina. L a maggior parte dei settlement si trova a Sud dove le condizioni climatiche e culturali sono molto diverse. Questa concentrazione dei campi al Sud è dovuta al favoreggiamente da parte di un politico Indiano, particolarmente attento ala questione tibetana all’epoca del loro esodo in India. Si può capire quanto sia difficile per loro adattarsi a condizioni di vita così diverse da quelle originarie.
Continuo il mio giro, torno indietro e mi addentro in stradine molto strette e buie. Ogni casa è contrassegnata da un numero del blocco e da quello della casa. C’è un piccolo ristorante dove dei ragazzi giocano ad uno strano gioco da tavolo. Entro a vedere un centro di educazione e una ragazza mi accompagna sulle rampe delle scale che giungono fino al terzo piano dove si trova una stanza adibita a tempio. Tutti gli ambienti sono molto scuri, poca luce, ma anche pochi colori. Là vivono dieci monaci.
Nella piazza principale ci sono altri due templi Buddisti, un bambino giocava con il padre con i palloncini gonfiabili e la scena è molto tenera e divertente. Incontro poi un tibetano un po’ pazzo, che poi scopro che è un alcolizzato, che comincia a parlare velocemente in un inglese quasi incomprensibile e mi spiega tutto sui templi. Lo incontrerò altre due volte Incontro anche dei mendicanti che chiedono l’elemosina. Vivono nelle baracche che si trovano dietro il complesso sulla riva del fiume.
A pranzo entro in un ristorante e, sedendomi, vedo una signora ed un monaco che avevo visto in precedenza in strada, li saluto e loro mi invitano a sedermi con loro . Scopro che si occupano di progetti, soprattutto in Nepal, riguardo ai rifugiati tibetani. Trascorriamo più di un’ora e parliamo della situazione tibetana. I tibetani non hanno un passaporto e ogni volta che devono uscire dall’India hanno bisogno di un permesso speciale. I confini tra il Tibet e il Nepal, dice il monaco, sono più strettamente controllati negli ultimi due anni per un volere del dei governi del Nepal e della Cina. L a maggior parte dei settlement si trova a Sud dove le condizioni climatiche e culturali sono molto diverse. Questa concentrazione dei campi al Sud è dovuta al favoreggiamente da parte di un politico Indiano, particolarmente attento ala questione tibetana all’epoca del loro esodo in India. Si può capire quanto sia difficile per loro adattarsi a condizioni di vita così diverse da quelle originarie.
Monday 21 September 2009
OLD DELHI AGAIN
Oggi avevo pensato di visitare New Delhi. Ma appena arrivato nella parte nuova della città ho cambiato idea e sono ritornato nelle strade dove ero stato ieri, nella mitica Old Delhi. L’atmosfera che si respirava questa mattina era festiva. Molti negozi erano chiusi, c’era meno traffico e meno gente per strada. Sul marciapiede si potevano notare molti barbieri al lavoro, intenti a tagliare capelli o radere la barba. Tutto alla luce del giorno, muniti di specchietto, pennello e crema da barba offrivano il loro servizio. E’ stato curioso. E poi ho visto alcuni ragazzi che facevano la “lavatrice”, cioè lavavano i panni muniti di saponetta e una vasca con dell’acqua. Sotto i portici del bazar, quasi accanto ai barbieri. Molta gente consumava dei pasti cucinati per strada dai cuochi del marciapiede. Che fame mi era venuta. Ma ho resistito.
Il pomeriggio ho visitato il sito dove è stato cremato Ghandy e il museo nazionale dedicato a lui, con una serie interessante di fotografie relative al corso della sua vita. Diciamo che è una giornata tranquilla e festiva anche per me oggi. Un salutone a tutti. A domani con la visita del quartiere tibetano. Ciaoooooooo!!!
This morning When I woke up I wanted to go to visit New Delhi, but then when I arrived there I changed my minds and i went again to the Old Town. This morning there was a lovely atmosphere. The most of the shops were closet, there was less traffic end people on the street. N the footpath there were many barbers working with their client at the daylight. It was fantastic situation. And I saw also some guys washing cloths, many people eating close to the street shop. I was hungry, but I didn’t get anything. Very hard! And then I went to visit the Ghandi National museum where there was a photographic exhibition about his whole life. It was interesting. Quite day for me. Tomorrow I am going to visit the Tibetan quarter. Bye to everybody.
Saturday 19 September 2009
CRAZY DELHI
E’ cominciato oggi il mio lungo viaggio in India che mi porterà per 3 mesi in giro in questa meravigliosa terra. Il primo impatto è stato forte. Appena uscito dall’hotel questa mattina un’ondata di calore mi ha investito in pieno, e non essendo abituato, visto le temperature dublinesi, all’inizio ho un po’ sofferto. Dall’hotel mi sono diretto verso il Red Fort, ho attraversato il bazar della città vecchia, piano di bancarelle e di gente che camminava, tante merci, le più svariate, cibo cucinato per strada, e inoltre vendevano anche acqua con il succo di lime, che naturalmente, per prudenza ho deciso di non assaggiare, anche se visto il caldo la tentazione mi era venuta. Ad un certo punto sono sceso verso la stazione dei treni della città vecchia. Tanta gente aspettava, piena di merci e buste piene di cose. Ad un certo punto prima che arrivasse il treno tante persone si sono riversate sul tratto che corre tra i binari e mi chiedevo che intenzioni avessero. Arrivato il treno, sono in pratica saltate sul treno, che non aveva porte, tutto aperto, al posto delle finestre c’erano due sbarre e la gente si affacciava per prendere un po’ di aria. Una serie di carrozze arruginite, di colore verde. Sulla banchina anche tanti mendicanti mostravano la loro nullatenenza. Ritornato al bazar, ho vissuto situazioni pazzasche: gente che sputava qualcosa di rosso, che non ho capito cos’era, venditori di cocco, trasportatori, c’era di tutto, situazioni che se non le vivi non le puoi immaginare. La gente mi è sembrata disponibile e contenta di farsi fotografare. Solo in pochi non hanno accettato il mio invito. E comunque in tutto ciò quello che mi ha più affascinato in questa giornata sono le donne con i loro vestiti dai mille colori. Sono così eleganti e così vivaci nel loro modo di essere. I loro occhi esprimono pace e bellezza interiore. I loro gioielli poveri, ma luccicanti e dorati che spiccano sulla loro penne più o meno scure le arricchiscono nella loro semplicità.
Poi c’è stata la visita del Red Fort che direi mi ha un po’ deluso, ma almeno mi ha dato molti spunti per fare dei ritratti alle donne. Molto disponibili e simpatiche si sono prestrate a farmi da modelle, con i loro sguardi molto intensi. In seguito ho visitato la più grande moschea di Delhi, la Jama Masjid, il cui atrio centrale può ospitare anche 25000 persone, un immenso spazio, nella cui parte centrale si posizione una vasca quadrata piena di acqua, in prossimità della quale i devoti si siedono e si bagnano il viso, le braccia e i piedi e bevono qualche sorso di acqua per purificarsi. Li ho visti anche lavarsi i denti con un accessorio non ben identificato. E poi girando, naturalmente senza scarpe, visto che si tratta di un sito religioso musulmano, tante donne e bambini, erano seduti all’ombra. Mi sono avvicinato a molte di loro. I bambini sono così carini e con i loro vestiti sembrano delle bamboline. Uscendo, un bambino mi ha chiesto se gli potevo fare delle foto e dopo aver finito mi ha chiesto dei soldi, ma io purtoppo e a malincuore ho dovuto dire di no. Mi ha seguito per 10 minuti e continuava con la sua richiesta, era insistente , sembrava la mia ombra. Aveva non più di 10 anni. Mi guardava con uno sguardo penoso. E’ stata la prima volta nella mia vita che mi trovavo di fronte a una situazione del genere.
Camminare per le strade di Delhi è veramente difficile, un fiume di gente e poi moto, risciò, tuc tuc che spesso di sfiorano nella loro corsa e frenesia. Le orecchie sono messe a dura prova visto che gli indiani lo usano sempre, e noi ci lamentiamo in Italia. Mamma mia. Un frastuono assurdo. Dopo ore di cammino ora mi sembra di essere andato in discoteca. Una bella giornata da non dimenticare.
Poi c’è stata la visita del Red Fort che direi mi ha un po’ deluso, ma almeno mi ha dato molti spunti per fare dei ritratti alle donne. Molto disponibili e simpatiche si sono prestrate a farmi da modelle, con i loro sguardi molto intensi. In seguito ho visitato la più grande moschea di Delhi, la Jama Masjid, il cui atrio centrale può ospitare anche 25000 persone, un immenso spazio, nella cui parte centrale si posizione una vasca quadrata piena di acqua, in prossimità della quale i devoti si siedono e si bagnano il viso, le braccia e i piedi e bevono qualche sorso di acqua per purificarsi. Li ho visti anche lavarsi i denti con un accessorio non ben identificato. E poi girando, naturalmente senza scarpe, visto che si tratta di un sito religioso musulmano, tante donne e bambini, erano seduti all’ombra. Mi sono avvicinato a molte di loro. I bambini sono così carini e con i loro vestiti sembrano delle bamboline. Uscendo, un bambino mi ha chiesto se gli potevo fare delle foto e dopo aver finito mi ha chiesto dei soldi, ma io purtoppo e a malincuore ho dovuto dire di no. Mi ha seguito per 10 minuti e continuava con la sua richiesta, era insistente , sembrava la mia ombra. Aveva non più di 10 anni. Mi guardava con uno sguardo penoso. E’ stata la prima volta nella mia vita che mi trovavo di fronte a una situazione del genere.
Camminare per le strade di Delhi è veramente difficile, un fiume di gente e poi moto, risciò, tuc tuc che spesso di sfiorano nella loro corsa e frenesia. Le orecchie sono messe a dura prova visto che gli indiani lo usano sempre, e noi ci lamentiamo in Italia. Mamma mia. Un frastuono assurdo. Dopo ore di cammino ora mi sembra di essere andato in discoteca. Una bella giornata da non dimenticare.
Hi guys, my first day in Delhi was crazy, traffic, noise and sunshine. Walking is like staying in the traffic in Rome and all the distances seem longer, because they are rivers of people in the street and many tuc tuc, risciò, taxii with 3 wheels, running really close to you.
I saw many different crazy situations. I visited the bazar, the old train station, the Redd Fort and the biggest mosque in Delhi, Jama Masjid. It was really hot, 35 degrees all day, very different from Dublin. The Indian women are fantistic and they wear lovely colourfull clothes. So what can I say? I could start to taste India. Cross your fingers for me. See you tomorrow.
Tuesday 1 September 2009
Storia del Tibet - History of Tibet
Il Tibet era uno Stato indipendente, con il suo Governo, la sua economia, la lingua, la cultura e la religione, fino all'invasione cinese. Fin dall'inizio dell'aggressione cinese nei confronti del Tibet del 1949, unmilioneduecentomila tibetani ( circa un sesto della popolazione totale ) sono morti a causa di persecuzione politica, esecuzioni, torture e fame. Più di seimila Monasteri, conventi e altri antichi centri culturali e religiosi sono stati distrutti. Il Tibet è stato invaso dai cinesi e ci sono ora settemilionicinquecentomila cinesi contro i seimilioni di tibetani che vivono in Tibet. I tibetani sono ancora perseguitati, imprigionati e uccisi a causa del loro credo politico e religioso e perché tengono dimostrazioni non violente per dichiarare il diritto alla libertà nel loro paese.
Nel 1959, in seguito alla ribellione di Lhasa e alla successiva repressione dei cinesi, Sua Santità il Dalai Lama lasciò il Tibet per cercare asilo politico in India. Poco dopo, un massiccio esodo di circa 85.000 tibetani invase l'India, il Nepal ed il Bhutan. Essi fecero un terrificante viaggio attraverso i passi Himalaiani alti 5.000 metri e molti, specialmente donne e bambini, morirono lungo la strada. La fuga dalla propria Patria spesso porta la popolazione a perdere la cultura originale e a trasformare il consueto stile di vita, ma la salda determinazione dei rifugiati tibetani ha preservato la loro religione e la loro cultura anche in esilio. E' importante ora come lo era nel 1959 mantenere intatte queste espressioni di vita tibetana nei campi e nelle comunità dei rifugiati.
Tibet was an independent country with its own government, economy, language, distinct culture and religion unti1 its invasion by the Chinese.
Since the beginning China's aggression towards Tibet in 1949, approximately 1.2 million Tibetans (around one sixth of the total population) have died through political persecution, execution, torture and starvation. over 6,000 monasteries, nunneries and other ancient religious and cultural centres have been destroyed. Tibet has been flooded by Chinese people and there are now 7.5 mil1ion Chinese to the 6 million Tibetans living in Tibet.
Tibetans are still being persecuted, imprisoned and killed far their political and religious beliefs, and far holding non-violent demonstrations declaring their right to self-determination in their own country .
In 1959, following the Lhasa Uprising and subsequent suppression by the Chinese, His Holiness the Dalai Lama left Tibet to seek political asylum in India. Shortly after, a massive flood of around 85,000 Tibetans poured into India, Nepal and Bhutan. They made the gruelling journey over the
16,000 foot Himalayan passes and many, especially women and children, died on the way.
Departure from a known environment often causes a population to lose its culture and transform its traditional lifestyle, but the unshakable determination of the Tibetan refugees has preserved their religion and culture in exile. It is as important now as it was in 1959 to maintain the Tibetan way of lire in the refugee settlements and communities.
Nel 1959, in seguito alla ribellione di Lhasa e alla successiva repressione dei cinesi, Sua Santità il Dalai Lama lasciò il Tibet per cercare asilo politico in India. Poco dopo, un massiccio esodo di circa 85.000 tibetani invase l'India, il Nepal ed il Bhutan. Essi fecero un terrificante viaggio attraverso i passi Himalaiani alti 5.000 metri e molti, specialmente donne e bambini, morirono lungo la strada. La fuga dalla propria Patria spesso porta la popolazione a perdere la cultura originale e a trasformare il consueto stile di vita, ma la salda determinazione dei rifugiati tibetani ha preservato la loro religione e la loro cultura anche in esilio. E' importante ora come lo era nel 1959 mantenere intatte queste espressioni di vita tibetana nei campi e nelle comunità dei rifugiati.
Tibet was an independent country with its own government, economy, language, distinct culture and religion unti1 its invasion by the Chinese.
Since the beginning China's aggression towards Tibet in 1949, approximately 1.2 million Tibetans (around one sixth of the total population) have died through political persecution, execution, torture and starvation. over 6,000 monasteries, nunneries and other ancient religious and cultural centres have been destroyed. Tibet has been flooded by Chinese people and there are now 7.5 mil1ion Chinese to the 6 million Tibetans living in Tibet.
Tibetans are still being persecuted, imprisoned and killed far their political and religious beliefs, and far holding non-violent demonstrations declaring their right to self-determination in their own country .
In 1959, following the Lhasa Uprising and subsequent suppression by the Chinese, His Holiness the Dalai Lama left Tibet to seek political asylum in India. Shortly after, a massive flood of around 85,000 Tibetans poured into India, Nepal and Bhutan. They made the gruelling journey over the
16,000 foot Himalayan passes and many, especially women and children, died on the way.
Departure from a known environment often causes a population to lose its culture and transform its traditional lifestyle, but the unshakable determination of the Tibetan refugees has preserved their religion and culture in exile. It is as important now as it was in 1959 to maintain the Tibetan way of lire in the refugee settlements and communities.
Subscribe to:
Posts (Atom)