Monday 30 November 2009
UNA STORIA DI CUORE ALLA CASA DEGLI ANZIANI
Appena arrivo alla casa degli anziani, il direttore tibetano mi presenta una signora italiana. Ha 74 anni ed è la fondatrice del centro. Aveva una cartoleria a Milano e iniziò a conoscere il mondo tibetano adottando un bambino a distanza. Arrivata alla pensione decise di vendere il negozio e di investire i suoi soldi nella costruzione del centro per anziani, che fù inaugurato dal Dalai Lama nel 1998, un edificio che ospita 40 anziani. Nel 2000 la cugina decise di finanziare la costruzione di un’altra ala con oltre venti posti letto. Questa è una storia di solidarietà che mi ha molto colpito. Ma non finisce qua. La signora si fa costruire una casa all’interno e nel 2004 si sposa con il direttore e da allora vivono insieme. Purtroppo il limite del visto la porta a tornare in Italia periodicamente, dove lei non ha più niente e dove lei non riuscirebbe più a vivere. Attualmente finanzia ancora il centro che ha fondato. E’ una signora di cuore che purtroppo ha problemi ad una gamba ed è costretta a sottoporsi a fisioterapia. I suoi vecchietti la amano per quanto lei dà a loro, la possibilità di avere un tetto dove vivere , del cibo, ma soprattutto la possibilità di non sentirsi soli, in un mondo che sempre più spesso li lascia abbandonati.
In ogni stanza trovano posto due anziani, ci sono anche delle coppie. Mi regalanoI sorrisi sinceri, mi salutano a mani giunte con il loro chinarsi in avanti, sono in quiete dopo una vita difficile passata da rifugiati, qualcuno tira fuori la lingua in segno di rispetto, come si usava fare in Tibet. Loro sono la prima generazione che dal Tibet scapparano per seguire il Dalai Lama nel suo esilio. La preghiera li accompagna ogni giorno. Si riuniscono per pregare insieme quattro ore al giorno e poi pregano anche in camera, nel cortile, ovunque. Qualcuno sta sulla sedia a rotelle perché non riesce più a camminare. Mi siedo vicino a loro e sento la loro sintonia con il mondo di cui ormai sembrano non più appartenere. Un vecchietto aiuta la donna delle pulizie a tagliare l’erba con la falce, tutto a mano, poco prima indossava un cappello da cowboy. Alcuni sembrano felici, altri sono spenti, altri soffrono. Non dimentichiamoci di loro.
Sunday 29 November 2009
LE OLIMPIADI AL CENTRO PER DISABILI DI BYLAKUPPE
Il centro per disabili di Bylakuppe celebra una giornata dedicata allo sport, con i ragazzi disabili protagonisti. Appena arrivo sono sorpreso da quanto il centro sia bello e nuovo. Molto ben tenuto e ricco di giardini con fiori, piante e prati. Tutto è in sintonia, i colori, gli spazi e le strutture. C’è un viavai di gente nel corridoio che porta al campo dove si giocheranno le gare. Un ragazzo disabile sulla sedia a rotelle si dimena quando mi vede, un’altra signora mi fa le feste. C’è anche un ragazzo dawn, un po’ paffutello, simpatico, mi chiede di fargli una foto e io lo accontento. La luce del sole si riflette sul pavimento chiaro in contrasto con il colore marrone dei mattoni della parete, il suo volto si illumina con una calda luce. Conosco un gruppo di italiani che fanno parte di un gruppo di Verona, che organizza eventi per la raccolta di fondi per il centro. Eleonora è l’organizzatrice, indossa un bellissimo vestito e con tutti loro inizia una giornata particolare.
Non tutti possono gareggiare. Alcuni sono sulla sedia a rotella, altri casi sono più gravi. Le accompagnatrici rimangono con loro ai bordi del campo e si prendono cura.
Dopo la cerimonia iniziale, nella quale viene accesa la torcia, i ragazzi si esibiscono in canti e balli e così, dopo questi momenti, sono pronti a gareggiare e a sfidarsi. Partecipano anche le persone dello staff, 100 m, 200 m, staffetta, corsa con il sacco, la presa della mela. Il pubblico si diverte e tifa per loro. Il verde, il giallo e il blu sono i colori delle tre squadre. I ragazzi amano le sfide e la loro voglia di vincere si vede dalle loro espressioni. Il pubblico acclama chi taglia il nastro per prima. Per alcuni servirebbe il photofinish. Alla fine viene proclamato il gruppo vincitore del torneo. Sono seduti sul prato e una bandiera del Tibet sventola sulle loro teste, libera di muoversi e di mostrare i propri colori.
Dopo pranzo i ragazzi si riuniscono nella sala tv. La stanza è buia e la luce passa solo dalla porta principale. Un ragazzino disabile è seduto sulla propria sedia a rotelle, delle fasce lo stringono alla sedia e un nastro tiene legata la sua mano al poggia braccio sinistro. Si muove in continuazione, si stende e china la sua testolina verso dietro, ma i suoi occhi rimangono chiusi, non può vedere la realtà come la vediamo noi. Il suo mondo è qualcosa che noi non potremmo mai osservare.
Friday 27 November 2009
I MONASTERI DI BYLAKUPPE
Oggi dedico la mia giornata alla vita spirituale nei monasteri della zona. Entro nel monastero Sera Mei che ospita insieme all’altro monastero attaccato Sera Jhe circa 5 mila monaci buddisti. Entro attraverso il cancello principale e un po’ disorientato dalla vastità della struttura, cerco di addentrarmi dirigendomi alla cieca verso un enorme cortile e appena giro l’angolo, alla mia vista si presentano centinaia di monaci riuniti in gruppi. Chi è seduto, altri in piedi e assisto a qualcosa di molto strano. In ogni gruppo due o tre monaci discutono animatamente e sembrano quasi che vogliano bisticciare, sbattono le mani, quasi in segno di sfida, e gli altri intorno che assistono alla finta battaglia. Non capisco cosa succeda e purtroppo i monaci non parlano inglese e non riesco a farmi spiegare cosa stiano facendo.
E’ giunto il momento del pranzo e i monaci si riuniscono in una sala, sistemandosi, seduti su dei tappeti, in file parallele. Viene distribuito del pane tibetano, dali, a base di lenticchie, e una banana ciascuno. Durante il pranzo regna il silenzio. All’ingresso centinaia di paia di scarpe sono parcheggiate, formando un intrinseco mosaico.
Mi dirigo verso il famoso Golden Temple. All’interno tre statue alte 18 metri, completamente verniciate di oro, troneggiano nella sala enorme. Quella a sinistra appresenta il Buddha Amitayus, il Buddha della lunga vita, al centro il Buddha Shakyamuni, il fondatore del buddismo, e a sinistra il Guru Padmasambhava. Due draghi si attorcigliano intorno alle lunghe colonne colorate di rosso e numerosi dipinti decorano le pareti. Fantastico!
Nel tempio affianco un centinaio di monaci sono riuniti in preghiera. Suonano il tamburo, le trombe e i lunghi strumenti a fiato tipici tibetani. I loro canti preghiera mi ipnotizzano e mi fanno entrare in un’altra dimensione. Sfogliano i loro libri scritti in tibetano, lunghi e stretti, dai fogli sciolti con il profilo colorato di rosso. Bevono del the e si muovono ondeggiando avanti e dietro. E quando tutti gli strumenti e le voci incrociano i loro suoni, una forte energia si libera e sembra entrare dentro di me. Bisogna solo provarlo.
Thursday 26 November 2009
GLI ASILI DI BYLAKUPPE
Dopo i vari sbattimenti per la richiesta dei permessi che non ho ancora risolto, decido di rilassarmi visitando 2 asili del campo profughi tibetano di Bylakuppe.
I bambini sono seduti lungo il perimetro della stanza e l’insegnante al centro impartisce la lezione. I bambini poi, si chiudono in un cerchio e uno alla volta, si esibiscono per gli altri con un canto. Intanto altri bambini fuori, forse i più piccoli, già mangiano, con la loro scodella di metallo, una porzione di riso con una salsa di vegetali e carne. Sono appoggiati con la schiena al muro e mi guardano dal basso come se fossi la statua della libertà.
In un altro asilo le due classi con 69 bambini, dai 2 ai 6 anni, sono impegnate a ritagliare da fogli di giornale delle forme dalle quali i bambini imparano a costruire degli aerei, dei cappelli o quant’altro di fantasioso e colorato si possa fare con un pezzo di carta. Una bambina, che è fuori sulla veranda, appoggiata con le spalle al muro, appena mi vede, comincia a piangere e non smette. Sembra che abbia visto un mostro, è terrorizzata. Allora mi allontano dalla sua vista e si tranquillizza, ma prima di andare via mi rivede di nuovo da lontano e ricomincia. Una signora anziana tibetana si prende cura di lei, ma non c’è niente da fare. Lascio l’asilo dietro i suoi pianti e la gioia di vedere tutti questi bambini che studiano, stanno insieme, e la loro l’innocenza che traspare dai loro volti, mi fa dimenticare per un attimo tutto quello che di brutto, invece, ogni giorno vedo con i miei occhi.
Tuesday 24 November 2009
IL TCV, TIBETAN CHILDREN VILLAGE, A BYLAKUPPE
Dopo un viaggio su un bus Volvo molto confortevole, durante il quale ogni 5 minuti pregavo che arrivassi a destinazione, visto come guidava il conducente, eccomi al campo profughi tibetano più grande dell’India a Bylakuppe, dove vivono 20000 tibetani. La prima tappa è il TCV, la scuola tibetana dove studiano più di 1500 studenti. La scuola costa poco più di 200 euro all’anno. La maggior parte dei ragazzi hanno uno sponsor che paga la retta, per i pochi che ce l’hanno il dipartimento dell’educazione li sostiene se provengono da famiglie povere. I ragazzi dormono e mangiano all’interno del “villaggio”. Gli studenti sono tutti nelle loro classi. Si avvicina la data degli esami prima delle vacanze invernali. Gli studenti che hanno i genitori in Tibet o troppo lontani rimarranno a scuola. I ragazzi che sono scappati dal Tibet non possono ritornare. Se le autorità cinesi vengono a scoprire che il proprio figlio è fuggito, costringono la famiglia a far ritornare il bambino entro una certa data e se ciò non avviene rischiano di andare in prigione o di perdere il lavoro o l’assistenza, quel poco che hanno. Questi bambini vivono, in pratica, da orfani e non si può far niente di più che dare loro un’educazione e la possibilità di avere un futuro migliore che nel proprio Paese, dove di solito i Tibetani svolgono lavori umili e sottopagati rispetto ai Cinesi. E una gioia vederli tutti insieme uniti con lo stesso spirito di unità e di comunità.
Vi lascio con una poesia scritta da una studentessa della sesta classe (Dolma Yangzom):
I want to be a bird
But I have not wings.
I want to be a doctor
But I am not intelligent.
I want to be a teacher
But I am a student.
I want to help poor people
But I am poor too.
I want to meet my parents
But they are very far from me.
I want to go back to our country
But we have no FREEDOM!
…………………………………
Voglio essere un uccello
Ma non ho le ali
Voglio essere un dottore
Ma non sono intelligente
Voglio essere un insegnante
Ma sono uno studente.
Voglio aiutare le persone povere
Ma sono anch’io povera.
Voglio incontrare i miei genitori
Ma sono molto lontani da me.
Voglio tornare nel nostro Paese
Ma non abbiamo la LIBERTA’!
Monday 23 November 2009
UNA COMMEMORAZIONE DEI 50 ANNI IN ESILIO DEI TIBETANI A BANGALORE
Mi trovo ancora a Bangalore nello stato del Karnataka nel Sud dell’India. Partecipo ad un evento, organizzato dal Dipartimento dell’informazione e delle relazioni internazionali e dall’amministrazione centrale tibetana, in collaborazione con i 5 campi profughi presenti nello stato, la più grande comunità tibetana presente in India, per commemorare i 50 anni di esilio di sua eccellenza il Dalai Lama e dei rifugiati tibetani e per ringraziare il governo indiano per la sua ospitalità.
Il Dalai Lama, all’età di 15 anni, nel 1950, fu chiamato ad assumere i pieni poteri politici dopo l’invasione del Tibet da parte dei cinesi. Nel 1954 andò a Benjing per parlare con Mao Zedong e altri leader politici, man tutto ciò fu inutile e nel 1959 in seguito alla brutale soppressione dei tibetani il Dalai Lama fù costretto a fuggire in esilio in India. Sin da allora vive a Dharamshala nel Nord India.
All’evento hanno partecipato varie autorità indiane e tibetane. E’ stata allestita una mostra fotografica che illustra la storia dei 50 anni di esilio. Nel centro della sala 4 monaci sono intenti a fare un mandala di sabbia, un diagramma concentrico creato distribuendo su una superficie piana della sabbia colorata, rappresentando vari temi spirituali del buddismo. Una volta completato il mandala viene distrutto, accompagnato da una cerimonia che simbolizza il credo dottrinale di una natura transitoria della vita materiale.
E’ stato proiettato il film Kundun che racconta la vita del Dalai Lama dalla sua nascita all’inizio del suo esilio. La sala è piena di tibetani. I loro volti sono commossi, dai loro occhi si può osservare la sofferenza per una situazione che chissà se mai si risolverà un giorno. E’ seguita una discussione sui rapporti passati e presenti tra India e Tibet e infine uno spettacolo di danze e musiche ha terminato questa giornata. Si sono esibiti gli studenti del TCV, Tibetan Children Village di Bylakuppe, i monaci del monastero di Namdroling Palyul realizzando una danza tradizione in maschera, e infine i monaci del monastero di Mundgod con dei canti buddisti.
Saturday 21 November 2009
BANGALORE: UN INVITATO SPECIALE AD UN MATRIMONIO
Tornando in albergo ho notato tante persone vestite bene e della musica venire dalla sala di fronte all’ingresso. Mi sono affacciato per curiosità e ho scoperto che si stavano svolgendo i festeggiamenti per un matrimonio. Gli sposi erano su un palco davanti ad un enorme decorazione fatta di fiori. Davanti a loro c’erano il fotografavo e due cameraman che filmavano. In basso una postazione con un signore, il regista, che componeva collage di immagini degli sposi o mandava in diretta i filmati girati. Tutto si poteva vedere su due schermi rivolti verso il pubblico degli invitati. Le donne indossavano costosi sari, dai colori sgargianti e tessuti pregiati. Preso dall’entusiasmo sono andato a prendere la mia macchina fotografica e ho cominciato a fotografare. La situazione era divertente. La sposa mi guardava e mi sorrideva. Gli sposi sono stati tutto il tempo sul palco a farsi fotografare con tutti i parenti e amici. Sembravano quasi due statue. Ogni tanto si riposavano siedendosi su due sedie. Intanto della musica indiana dal vivo riallegrava la serata. Un ragazzo alto e magro, insieme ad una ragazza, si esibivano ballando al ritmo delle note musicali. Ma il bello viene ora.
Più volte mi invitano a partecipare alla cena, ma cerco di desistere alla proposta, ma poi un signore anziano con il bastone, il padre della sposa in persona, mi invita e mi accompagna per mano verso la sala del grande cenone del matrimonio di sua figlia. Mi aspettavo qualcos’altro. I tavoli sembravano quelli che da noi usano alle sagre. Sedute sulle panche i camerieri cominciano ad appoggiare sul tavolo davanti ogni invitato una foglia enorme di banano, un altro passa con un secchiello e vi versa un po’ d’acqua. Tutti stendono l’acqua sulla foglia come se volessero sciacquarla. Non capisco. I ragazzi indiani che ho di fronte ridono e anch’io rido. La situazione è molto divertente. Uno ad uno i cameriere cominciano a servire le varie pietanze sulla foglia di banano. Non da vassoi, ma da secchielli. Un servizio molto raffinato! Ma le posate? Mi chiedo. Non servono, perché tutti cominciano a mangiare con le mani. Dei fagiolini, riso, verdure, un’insalatina a base di cetrioli, un dolcetto molto dolce, impregnato di sciroppo di zucchero. E per finire in bellezza un gelato. Il tutto è durato non più di venti minuti. Sembrava di stare al fast food. La gente che finiva di mangiare si alzava per far posto ad altri invitati, siccome il numero dei posti a disposizione non era sufficiente per tutti. Sulla mia foglia di banano era rimasta una foglia arrotolata ripiena con qualcosa di sconosciuto e tenuta insieme da un chiodo di garofano. Gli indiani la usano masticare a fine cena. E allora proviamola. L’ho visto fare tante volte da loro. All’inizio non è stato male, ma poi il disgusto ha cominciato a prevalere. Come in Europa i camerieri hanno distribuito la bomboniera, una bella noce di cocco dentro una bustina di plastica. Tornato in albergo con la foglia ripiena ancora in bocca vi lascio immaginare cosa ne abbia fatto. Un'altra esperienza fantastica.
I PESCATORI DI GOPALPUR
Arrivato sulla spiaggia il cielo era coperto da una parte da nuvole scuri che minacciavano la pioggia, dall’altra parte un cielo azzurro intenso era illuminato dal sole. Le barche dei pescatori erano parcheggiate sulla spiaggia, ma la maggior parte erano in mare impegnate nel loro lavoro. Da lontano si notava un gruppo di persone. Tantissimi pesciolini erano sistemati sulla spiaggia. Mischiati con la sabbia si asciugavano al sole. E i compratori contrattavano con le donne il prezzo migliore. Altre donne trasportava enormi cesti pieno di pesce sui loro capi, attraversando una stretta lingua di mare per andare al villaggio. Per non bagnarsi i sari, li tiravano su e a volte si scoprivano delle zone intime che solitamente non si vedono. Nel pomeriggio i pescatori sino arrivati con le loro barche scaricando tutto il pescato del giorno. Il sole cominciava a calare e una luce diffusa si diffondeva nell’aria e si rispecchiava sul bagnasciuga. Il mare e la spiaggia sembravano una continuazione dell’uno nell’altro. Le onde si infrangevano sulla spiaggia e le persone in silhouette si notavano da lontano camminare. In una situazione di luce fantastica mi incamminavo verso il faro che dominava il paesino e dietro il sole orami scomparso dietro le nuvole scure.
Wednesday 18 November 2009
L’ULTIMO GIORNO A CHANDRAGIRI
Una colazione con the, biscotti e uova soda mi prepara a quest’ultimo giorno a Chandragiri.
Davanti casa di Tsepak campeggia un cumulo di piante di riso. Tsepak con il trattore vi passa sopra numerose volte girando su se stesso, mentre il padre e un altro ragazzo indiano le scuotono per far distaccare i chicchi di riso. La madre, intanto munge una vacca, intrattenuta da un giocattolo di paglia che si trova in un secchio.
Con la moto di Tsepak dal campo n.4 ci dirigiamo verso il paese e fare un po’ di shopping. Compriamo olio, spezie, pomodori, cipolle, un cocco e per finire un pollo. Il ragazzo prende il pollo da un piccolo frigorifero e lo pulisce davanti a noi, lo taglia con un grosso coltello su un tocco di legno. Sotto il frigorifero circa 10 polli, chiusi intorno da una rete girano nel piccolo spazio a loro disposizione, mangiano da una piccola ciotola, ignari del loro destino. Prima o poi finiranno sulla padella di qualcuno. Passiamo tra i vari campi, mentre io filmo, e la vita di tutti i giorni scorre normalmente. Nel pomeriggio un violento acquazzone si abbatte e un’aria fresca si diffonde nell’aria. Si sente solo il rumore della pioggia. Tutto tace.
In questi giorni ho toccato con mano la vita dei tibetani. Una vita tranquilla, in mezzo alla natura, fatta di piccole cose, dove lo stress non esiste, un lavoro di campagna tranquillo che non dà molti introiti, ma che dà la possibilità, comunque a molti, di possedere una moto, un cellulare. Piccoli privilegi in una vita da rifugiati che è ormai dal 1959 alla terza generazione.
Lascio a malincuore questo posto che mi ha dato tante emozioni.
I BAMBINI DI CHANDRAGIRI
Mi alzo la mattina con le voci dei vicini che all’alba risuonano nella stradina di fronte la camera dove dormo. Dedico la mattina alla visita dei quattro asili presenti nel settlement. Ci sono solo bambini fino ai 4 anni, qualcuno ha anche meno di un anno e le insegnanti più che insegnare talvolta lavorano come baby sitter. I bambini giocano e cantano, imparano l’alfabeto e le basi dell’inglese. Solo pochi bambini sono presenti negli asili, meno della metà, perché molti hanno lasciato Chandragiri con le loro famiglie impegnate nel mercato della vendita dei maglioni altrove, i quali vengono acquistati nel Punjab al prezzo di 300 rupie e rivenduti al doppio.
In un asilo i bambini prendono il the tutti insieme, seduti in fila a ridosso del muro esterno alla classe. Una bambina comincia a piangere appena mi avvicino e un’altra anche. Forse è la mia macchina fotografica a spaventarli o la mia presenza. Ma quando vado via la stessa bambina con gli occhi ancori lucidi, mi saluta sorridendomi. Tutti gli altri sembrano divertirsi in questa situazione.
In un altro asilo i bambini scrivono su delle lavagnette le lettere dell’alfabeto e il bambino più piccolo, che a malapena riesce a mantenersi in piedi, viene tenuto dall’insegnante. Nel campo n.4 i bambini pranzano con riso e del Dal, una salsa a base di lenticche e curry, un piatto tipico indiano, ma molto usato dai tibetani che vivono in India. Un bambino di sei mesi è in braccio ad un’insegnante e il suo viso paffuto fa delle espressioni buffe. Una bambina esuberante si diverte alla mia presenza. E le piace tanto essere fotografata.
Le strutture dei vari asili sono abbastanza fatiscenti, a parte quella del campo n.4, donata da una NGO italiana, che presenta sulla facciata dei bei motivi decorativi ispirati al buddismo. Le cucine non hanno il gas e sono costretti ancora a cucinare con il fuoco della legna. Sono rimasto molto sorpreso da questo. I bambini dopo pranzo si riposano su letti di legno senza materasso. Tutto questo mi fa riflettere…
CHANDRAGRI: UN’ISOLA DI PACE FUORI DAL MONDO
All’alba mi trovo vicino un grande stupa circondato da altri 8 stupa più piccoli. La luce tagliente filtra attraverso lunghe bandiere di preghiera e dei tibetani girano intorno pregando. Le montagne intorno fanno da cornice, mentre il sole si alza, facendo risplendere i loro contorni. Affianco, in un campo erboso, dei monaci giocano a calcio. Qualcuno gioca senza scarpe, altri sembrano venire dal Munchester United. Le porte sono fatte con degli assi di legno. Là vicino, in un laghetto, si rispecchiano due lunghe file di bandiere di preghiera che lo attraversano dall’alto in tutta la sua larghezza.
Girando tra i 5 campi che formano questo settlement tibetano, mi accorgo di quanto questo posto abbia pochi servizi. I negozi sono veramente pochi. Per trovare qualcosa in più bisogna arrivare al paese di Chandragiri e questo vuol dire camminare anche un’ora a seconda di dove si abita. Chi è più fortunato si può muovere con la moto. Nel campo n. 5, il più grande c’è un piccolo banco di vegetali, ma non c’è una grande scelta. In ogni campo c’è un monastero piu o meno vecchio, ma il gioiello del campo n.4 è il nuovo monastero che verrà inaugurato dal Dalai Lama a gennaio. Ospita circa duecento monaci che conducono un modello di vita monastico, anche se con dei maggiori privilegi rispetto ai tempi passati.
In zona ci sono pochi bus e molte strade sono sterrate. Molte case hanno un tetto fatto di lamiera e i colore dominante è l’azzurro-verde acqua. Le case sembrano tante piccole fattorie e tibetani sono così cordiali e molto ospitali. Un signore mi fa entrare per vedere la sua casa. Ha sette figli e in una delle camere da letto, dove sono appese molte foto del Dalai Lama, suo padre cieco di 87 anni è sdraiato sul letto a pregare. Non si cura della nostra presenza, è così concentrato dalla sua fede. Quattro dei figli sono in una stanza semibuia a vedere la tv.
VERSO CHANDRAGIRI: IL CAMPO PROFUGHI TIBETANO IN ORISSA
Prendo il taxi, un enorme fuoristrada con i vetri oscurati. Bharampur è molto trafficata. Uscendo dalla città, ormai il sole è calato e le strade sono buie. Piccoli villaggi sorgono lungo la strada. Sembrano quasi capanne, molte hanno il tetto di paglia e piccoli negozietti rompono l’oscurità. Ai lati della strada, illuminate dai fari, numerose donne con i loro sari colorati, che appena si intravedono, sono accovacciate e fanno i loro “bisogni”. Sono tante, le loro case non hanno il bagno e sono costrette a farlo di notte quando nessuno le vede. La strada si fa sempre più deserta, enormi alberi secolari punteggiano il lato della strada con le loro fasce colorate di bianco e rosso sul tronco, visibili ai fari del fuoristrada. Il bosco si infittisce e l’atmosfera cambia. Non sembra più di essere in India. Mi trovo in un paradiso di pace che però ancora non riesco a vedere nell’oscurità, ma solo a percepire.
Sono ospite a casa di una famiglia tibetana. Faccio colazione nel cortile a poca distanza da un gruppo di mucche che sembrano più addormentate di me. Dei bambini giocano sulla strada non asfaltata e un odore di campagna riempe i miei sensori olfattivi. Delle bandiere di preghiera tibetane corrono da un albero ad un altro e le loro ombre si incrociano sulla strada. Lungo la strada delle palafitte piene di pannocchie di mais si ergono su pali di cemento o di legno. Il mais di colore arancione ormai quasi secco forma un bel mosaico dietro le reti metalliche e le fasce di bambù che non lo fanno straripare. Sotto le palafitte le mucche campeggiano.
Inizia così un’altra tappa del mio percorso tibetano.
Thursday 12 November 2009
IL SUN TEMPLE DI KONARK
Arrivo al Sun Temple di Konark a 3 km dal mare. Alla mia vista si presenta un tempio dall’architettura affascinante. Risale al tredicesimo secolo. Il tempio è stato costruito come il carro cosmico del dio sole. Sette grandi cavalli si innalzano con l’intento di muovere questo colosso di roccia poggiato su un carro di 24 ruote. E’ impressionante vedere tutte le sculture che ornano le pareti. Molte sono le figure erotiche e alcune rappresentano atti sessuali. Numerosi sono i turisti indiani, pochi gli occidentali.
IL VILLAGGIO DEI PESCATORI DI PURI
Eccomi finalmente al mare. Puri è una località marina tranquilla ideale per rilassarsi. Quello che più mi attrae è la vita che si svolge intorno al villaggio dei pescatori. Un vero e proprio insediamento a ridosso della spiaggia dove i pescatori vivono con le loro famiglie. La riva è piena di barche parcheggiate una di fianco all’altro. Al tramonto alcuni pescatori preparano le reti sotto delle vele di colore azzurro ancorate per terra che dà riparo dal sole cuocente. Ma la maggior parte si crogiola sotto il sole, attenti solo a fare bene il loro lavoro. Tanti bambini girano sulla spiaggia e giocano. Alcune donne portano sul loro capo un cesto pieno di pesce camminando sulla riva del mare. Tanta gente si raccoglie intorno al pesce portato dalle barche e depositato su dei teloni. Gamberoni, king fish, sgombri, granchi, tonni, pesci d’argento e tanti altri sono pronti per essere venduti al miglior offerente.
All’alba il villaggio è già in piena attività. Vengono portati i pesci pescati di notte che vengono conservati con del ghiaccio, le donne lo prendono dai teloni e lo mettono in dei cesti. Altre sono impegnate a cucinare, a lavare i panni o a pulire. Davanti al villaggio cumuli si spazzatura si ergono dalla spiaggia e uccelli, cani e maiali vi trovano cibo per sfamarsi. I corvi si poggiano sulle strutture di legno e scrutano il mare. Una signora anziana con il suo vestito bianco e blu è cieca e con il suo bastone cerca di raggiungere la riva in mezzo ai rifiuti, i piedi sono scalzi, ma lei non si cura di tutto ciò. Il suo unico scopo è quello di bagnarsi i piedi e ritornare nella sua casetta.
Un ragazzo è intento ad aggiustare il motore di una barca, le sue mani sono sporche di olio e sua pelle si confonde quasi con il suo colore scuro.
Gli uomini fanno la cacca sulla riva accovacciati con il viso rivolto verso il mare e poi si puliscono con l’acqua del mare. La battigia è piena di feci umane e, camminando, bisogna stare attenti a non calpestarle e l’odore è più forte di quello del pesce.
Verso l’orizzonte si notano le barche che pescano, il cielo è nuvoloso, grigio scuro. I raggi del sole penetrano e formano una raggiera che illumina le barche. Comincia a piovere a dirotto e tutti si riparano. Cammino sotto la pioggia battente e i miei vestiti si bagnano, i miei occhiali cominciano a gocciolare ed una piacevole sensazione di libertà riempe i miei pensieri.
Tuesday 10 November 2009
3 GIORNI AL SUNDERBANS TIGER RESERVE
I tre giorni passati nella riserva di tigri alla foce del Gange sono stati mervigliosi. Tre giorni nella pace di una delle foreste di mangrovie più grandi al mondo. i cervi che cercavano il cibo all’imbrunire, un cucciolo di coccodrillo che si dimenavana nell’acqua per poi sparire sotto il pelo dell’acqua, le decine di martin pescatori dai colori stupendi, poggiati su rametti che solitari si ergevano dalle acque del Gange pronto a riversarsi in mare, le tracce di una tigre del Bengala che aveva attraversato a nuoto le acque tranquille del fiume per spostarsi su un altro isolotto, forse alla ricerca di cibo, le barche dei pescatori che vagavano alla ricerca di pesce. E poi i villaggi locali dove la vita scorre lentamente, le pecorelle che si riposavano sui viottoli, le mucche che brucavano, i bambini che giocavano tutti insieme o che studiavano, le signore che raccoglievano nelle giare panciute l’acqua da portare a casa. I campi di riso contrastavano con le case di colore marrone e gli specchi d’acqua, numerosi intorno alle case, formavano un mosaico. Peccato che sia stato un sogno così breve.
Thursday 5 November 2009
UNA MATTINA TRASCORSA IN UN OSPEDALE PER LEBBROSI A CALCUTTA
Oggi è una giornata particolare. Me la ricorderò per tutta la vita. L’ospedale è specializzato nella cura dei lebbrosi. Verso le 9 del mattino iniziano le medicazioni dei pazienti. Ci sono uomini e donne. Sono 70 i posti letti, anche se qualcuno prende posto su materassi sistemati per terra tra due letti. Dalle fasciature non si nota quello che in realtà si nasconde sotto. Qualcuno ha delle ingessature che hanno una staffa di metallo alla base per permettere al paziente di camminare. Alcuni gessi hanno dei buchi e all’inizio non capisco perchè. Poi scopro che sotto quei buchi si nascondono le ferite della lebbra. E devono essere lasciate scoperte per le medicazioni. Quando le infermiere e i pazienti si scoprono le ferite, una scena veramente orribile comincia ad alzare il sipario. Un signore ha l’alluce, in pratica, spaccato in due parti, molti hanno le dita dei piedi atrofizzate, ad un altro, in corrispondenza della caviglia, si vede la carne viva di colore rosa. E’ come se qualcosa gli avesse mangiato quella parte del corpo. Impressionante!!
Una signora ha le dita di un piede completamente consumate. Su un altro letto un paziente ha delle ustioni gravi sul petto e sulle braccia. La scena è molto forte. Le piaghe della pelle fuoriescono e sono di colore rosso vivo. La moglie gli è vicina e lo sostiene. E la sua emotività traspare in tutto il suo dolore. Un ragazzo ha subito un’operazione e gli è stato fissato al piede un sostegno in metallo che gli trapassa il piede e la caviglia da una parte all’altra.
Un signore ha due tagli profondi nella parte bassa della gamba e il piede è in una situazione disastrosa. Durante la medicazione stringe i denti e dal suo viso la sofferenza che sta provando è così chiara. Le ferite sono molto profonde e l’infermiera è costretta a medicare in profondità. Un amico gli tiene la gamba. Comincia a piangere per il dolore. Vorrebbe tirar via il piede per sottrarsi a quell’atrocità. Gli altri pazienti assistono alla scena, la porta è aperta. La privacy sembra non esistere . Tutti hanno diritto ad assistere al dolore. Tutti sono sofferenti. E l’indifferenza verso queste persone è disumana.
Un ragazzina di 12 anni ha delle ustioni sulla pancia, sulle gambe. La mano è attaccata alla pancia e non può muoverla. Durante la medicazione si dimena. Le accarezzo la testa per farla stare più tranquilla. Quanto mi dispiace per tutto per questo. Mi sento veramente impotente con la mia macchina fotografica attaccata al collo. Qualche istante prima le avevo fatto delle fotografie che le avevano regalato dei sorrisi ed ero contento per questo. Ma ora invece di quel sorriso c’è la sofferenza.
Vado via vedendola piegare degli stracci verdi seduta al tavolo. La saluto e lei mi saluta sorridendomi. Non lo dimenticherò mai.
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